Bisogna prendersi del tempo. Per assimilare, per decantare. Per permettere al dolore, che si è posato sul cuore, di risalire e scivolare in gola. Per trovare il modo di farlo uscire, defluire tramite le parole. Perché tenerselo dentro pesa, ci fa camminare gobbi. Con gli occhi talmente bassi da non renderci più nemmeno conto di quanto ci circonda. Il dolore paralizza, anestetizza, crea un mondo ovattato che risulta impenetrabile alle emozioni ed alla gioia. Per questo, dopo averlo assimilato, bisogna trovare un modo per espellerlo. Altrimenti si corre il rischio di restare coi piedi incollati al terreno, in spasmodica attesa di qualcosa che fa ormai parte solo del passato. Di qualcosa che non ha nemmeno il coraggio di tornare. Di qualcosa che non è giusto fermarsi ad attendere.
Composto martedì 30 aprile 2013
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