Il suo infinito era colore
Quando si sentiva precipitata, sola, sbagliata, scura. Quando il cielo perdeva la sua altezza e tramortiva in un tetto fatto di ragnatele. Quando l'aria si saturava e le notti inseguivano i mattini e quando spioveva, ma l'arcobaleno era nero. In tutte queste occasioni, si rifugiava in soffitta, dove aveva nascosto con cura i suoi album da disegno e le sue matite colorate e prendeva a dare forme inedite alle cose della sua vita e della sua mente, storpiando il pensiero, alterando le linee, misturando i toni e creando sfumature laddove il tratto deciso la terrificava, ammorbidendo le ombre e sorridendo al generarsi ingenuo degli improvvisi punti luce. Il rosso s'allargava a chiazza ed era un tramonto spettatore di mani intrecciate d'amanti, l'azzurro s'aggiungeva col salato del mare e lei reclinava la testa, poggiandola appena sul pomo della spalla, come ad interporvi la conchiglia che fa sentire lo sciabordio delle onde; poi, smetteva. Prendeva a giocare con le sue matite, come al mikado, poi, era ormai un rituale, esprimeva il desiderio d'opporsi al suo senso di limitatezza che accompagnava i suoi momenti di fragilità, di nudità e pioggia e collocava le matite a forma d'infinito. Era lì, con questo semplice gesto, che si sentiva sconfinare con l'anima protesa al metamondo ed entrare dentro i suoi disegni, vivendoli come fossero reali. La piccola pittrice lo sapeva. Sapeva che il suo infinito era colore anche quando tutto, dentro e fuori, appariva nero.
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