Ho cristalli, dentro. Aguzzi. Cocci rotti per ogni buongiorno, respiro, ricordo che abbiano a che fare con te. Vi cammino sopra a piedi scalzi, come scalza sono io d'emozioni, fachiro inconcludente che si cimenta in uno spettacolo circense, ma non riesco ad intrattenere neppure me, figurarsi gli altri, figurarsi te che hai sempre rivolto il tuo sguardo altrove, certo di ritrovarmi sempre al tuo ritorno, quando il vento, fuori e dentro, tirava forte e richiamava il maltempo. E mi hai sempre trovata lì, china a togliere frammenti e schegge di vetro dai piedi e dal cuore, ché c'era finito sotto, schiacciato, perforato; con i polpastrelli tremanti togliere i resti uno ad uno, seduta sul primo scalino di casa tua.
Ma tu non c'eri. E chissà quanta pioggia m'è caduta addosso, chissà quanto sole, ma io aspettavo il Vento ed il Mare che ti scarmigliano i capelli sbattendoteli in faccia, quel Vento che non ti fa più vedere per via d'una folata improvvisa di rena negli occhi e resti immobile, al centro d'un panorama immenso che disegna vortici di sabbia e foglie in aria ed io: elemento dissonante e fuori contesto. Ti leggo ancora. Di nascosto, silenziosa. Leggo ancora delle tue inquietudini e del tuo trovar difficile stare a questo mondo e mentre lo faccio, immagino te che scrivi con quegli occhi color castagna, ma lo sguardo pungente come il riccio che contiene il suo frutto, la barba che incornicia la bocca per farsi più rada e sfumare piano.
Questa è l'immagine che conserverò di te: un viaggiatore che insegue il vento nel suo cielo e manovra aquiloni mentre pesca sogni. Mi resterà l'impressione di un soffio.
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