Scritto da: Marco Di Pietro

Fratello


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...supporlo. Adesso, negli istanti in cui la giovane donna percorreva una via del centro, ma semidistrutta di Tripoli, la voce dell'anziano raccontava l'ingloriosa storia dell'impero italiano; non avrebbe scritto di destra e sinistra, delle nazionali scelleratezze in bilico sul mare, ma della Libia e dell'Albania, della Somalia e dell'Abissinia. Non più l'esigenza politica attuale, sentiva viva; la voce che ora udiva era tristezza storica, era colpa più antica e insita, erano Crispi e Mussolini due di noi, Baratieri e Graziani, mediocrità e ignominia. Avrebbe sicuramente accennato ad un ancor più remoto, al Gran Ducato che abolì la pena di morte o ai primi Comuni al mondo, per potersi infine chiedere qual è, di queste, l'Italia, chi siamo noi. Corrotti e corruttori, criminali di guerra e vili alla sconfitta oppure fautori d'immense conquiste civili? Nel vuoto lo sorprese un dejavu che lo destò: nelle ore di quel minuto Crispi, pronto a qualunque sacrificio per salvare l'onore dell'esercito e il prestigio della monarchia, e Menelik, col suo popolo, gli suggerirono inverosimilmente un'Italia ancora artefice di progresso. Fummo i primi, infatti, a dimostrare che la rivolta al colonialismo era fattibile, che il conquistatore bianco poteva essere affrontato e vinto, che era possibile tornare liberi e indipendenti.

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