Enzino e i tre ghiaccioli
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...conto mentale dei chilometri che gli mancavano all'arrivo: 15 a Legnago, altri nove a Cerea e l'ultimo chilometro fino a casa. Troppi, decisamente troppi. Si trascinò con la forza della disperazione fino a Bevilacqua. Ironia della sorte, per bagnarsi le labbra e ingerire un po' di zuccheri, dovette spendere gli ultimi spiccioli per comprarsi il terzo ed ultimo ghiacciolo. Era in riserva e non sapeva se quel goccio di ristoro freddo e dolce sarebbe bastato fino ai rimproveri della mamma.
A metà del lungo rettifilo tra Bevilacqua e Porto di Legnago, grandioso come il profeta Elia, decise di buttarsi nella scarpata e lasciarsi morire.
Così fece. Il riposo gli giovò. Dopo mezz'ora, dolorante e acciaccato, era di nuovo in sella.
Glli ultimi dieci chilometri scivolarono lentamente dietro le spalle. La vista del campanile di Cerea e della sagoma della fabbrica Perfosfati che sovrastavano le chiome dei radi alberi della campagna, ebbe l'effetto di un balsamo ristoratore.
Le sue gambe stentavano a girare, le forze mancavano, il respiro era sempre più affannoso ma la fatica non era più oppressiva come qualche ora prima.
Quel che successe a casa, rimase fra le quattro mura.
Enzino non lo disse mai.
Ma ogni volta che raccontava questa sua assurda impresa, gli occhi brillavano di una luce particolare.
Poteva andarne fiero e a noi non rimaneva che l'invidia.
Non capita molto spesso che un bambino di tredici anni percorra più di duecento chilometri in bicicletta in un giorno.
E con soli tre ghiaccioli!
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