Roccia calcarea, mi sento deformare dalla crosta. Sono fatta a zolle ed a placche con le radici tra le crepe e l'Everest nel cuore, tanto è difficile raggiungerlo, ché da che la terra s'è fatta deserto, ho preso a spaccarmi da sola, tra l'aridità e le sterpaglie, tra l'erba cattiva ed i rovi selvatici. Da sempre terra forte che, anche nei pendii scoscesi delle zone rurali e montagnose, trattiene le querce secolari fisse nell'intricato reticolo di granelli di sabbia e creta strettamente saldati tra loro, come a confondersi e creare massa e distesa, fino a che il vento ribelle alzi la polvere e formi vortice che spazzi fiori, foglie, pollini e ricordi. Un pavimento terrestre. Bollore di vulcani incandescenti, terra nera, dai meandri alla bocca infernale che sputa ogni veleno taciuto nella pancia, nascosto, covato, finalmente, rigurgitato. La lava si attacca e scende sin alle pendici per generare strati su strati di spessore rugoso ed irregolare dove sbatterci di spalle e tramortire le insicurezze dei mancati balzi in avanti: piedi e radici. Terra, da te nasco ed a te faccio ritorno, m'ingoi famelica nella tua potenza fino al nucleo, ti congiungi col mio midollo, mi passi da parte a parte ché io sono come te, forte e severa, fertile ed arida nelle zone diverse della mia vita.
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