Non so dire addio
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...sa stare con se stesso è spesso portatore di qualcosa di esclusivo. Non so dire addio. Non so prendere con positività il bene che ho tratto da un rapporto e conservarlo lì, sulla mensola; a guardarlo, finirei a non poterlo sopportare più. Lo accetto ma non con serenità, lo accetto perché devo. Perché c'è un nemico maledetto contro cui non potremo mai combattere. Una gran stronza che non potrà mai essere detronizzata. L'impotenza. È una cosa che odio, e quando dico (o scrivo) odio intendo odio, il Dio con la o, l'assenza d'amore, odio odio odio! Non poter farci niente. E non so dire addio, sto male, somatizzo, mi si strappa un pezzo di stomaco, un frammento di retina, una scheggia di futuro, un brano di carne dalle mani che non toccheranno più quella persona, un brandello di lingua che non ci parlerà più. Perdo pezzi ad ogni addio, rimangono attaccati a chi se ne va come le lattine dietro l'auto dei novelli sposi. Perdo i momenti, perdo l'esclusività che avevo con quella persona, perdo le sue parole, il modo di parlarmi, di abbracciarmi, di salutarmi, perché ognuno saluta a modo suo, il suo modo di guardarmi, di offrirmi, di accettare. Non so dire addio. Ma pare che per me, dover allontanare le persone, sia divenuto qualcosa di imprescindibile. Non so dire addio ma lo faccio con una frequenza spaventosa. Devo. Devo perché sono... impotente.
Composto lunedì 29 aprile 2013
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