IL PALAZZO DI VETRO
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...non sono in grado di reggermi sulle gambe. La disperazione di aver deluso me stesso, la ditta, i colleghi amici. Si ricomincia. (I colleghi) gli amici mi sono stati vicini, non mi hanno abbandonato, non li ho delusi.
La ditta, si.
Ed eccomi a girare per l'ultima volta nel palazzo, sono in "Sala Macchine" dove ho lavorato per parecchi anni. Sono entrato nell'ufficio del capo del personale dove ho fatto il colloquio e sono stato assunto. Al me fiò al laura in Galbani... Mario, che fortuna ". Sono entrato nell'ufficio posta, non c'era Rino, non c'erano neanche gli scatoloni per mettere i suoi documenti da portare nella nuova Sede, mi si sono inumiditi gli occhi, non verrà con noi, è già da tempo che l'incidente se l'è portato via.
Torno nel mio ufficio, preparo la borsa, metto il pc portatile nella sua valigetta, tocco il telefono, la scrivania e la sedia, l'ultimo contatto. In portineria saluto le ragazze della reception ed esco. Ad un tratto mi volto, lo vedo ancora e improvvisamente mi ritrovo a pensare a una mia vecchia poesia:" Il saggio è chi ha memoria della propria storia". È proprio così. Ciao, palazzo di vetro.
Dedico questo racconto a tre persone eccezionali che ho avuto il piacere di conoscere nel luogo di lavoro.
Grazie a Rino, Ezio e Vittorino.
Luigi.
Composto venerdì 10 marzo 2000
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