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...gioisco. Grato di essere grato.
Non è facile essere padre, non lo è mai stato. Difficile scardinare alcuni pregiudizi, preconcetti, pensieri che invadono le coscienze. Ho sempre cercato di essere un punto di riferimento, precario, a volte instabile, ma comunque un punto fermo, qualcosa di cui i miei figli avrebbero potuto fidarsi. Non ho mai voluto essergli "amico", la mia generazione ha respirato quella psicologia un po' squallida che suggeriva di abbandonare l'autorità del genitore per abbracciare il ruolo di "compagno", più comodo e meno impegnativo. Ma i figli hanno bisogno di un padre, non di un amico. Il ruolo di amico è destinato ad altri, non a chi li ha messi al mondo.
Perché il punto cruciale è proprio questo, mettere al mondo significa fornire i mezzi per vivere e affrontare il viaggio, le scarpe più adatte, i vestiti pesanti per le stagioni fredde, un cervello agile e un cuore largo.
Guardo con orgoglio i miei figli e credo di aver fatto un buon lavoro. Hanno preso in mano il timone della vita, ognuno con i propri tempi e i propri mezzi, navigando futuri che nemmeno riesco a immaginare.
Cerco sempre di essere quel punto di riferimento sbiadito, mescolo in parti uguali cinismo e follia, a volte comprensivo e a volte incomprensibile, sputo sentenze e consigli non richiesti. Loro mi ascoltano e nemmeno ci fanno caso. È un buon segno, vuol dire che camminano con le proprie gambe, che pensano con la propria testa.
E va bene così.
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