Vivere ancora

Cosa c'è di più bello che vivere? Vivere come sto facendo adesso, leggere un libro di quasi 200 pagine in circa due ore, piangere e sussultare, di sorridere, di avere gli occhi che bruciano, il nodo allo stomaco, la mente intorpidita, il cel quasi scarico, quasi l'una di notte e sveglia alle 6... e correre e travolgersi, fare tardi al lavoro e storcere gli occhi e le labbra ad ogni noia quotidiana. Guardarsi intorno e vedere il disordine, il pc spento, i calzini rotti, i jeans strappati, le labbra aride, la stanchezza delle membra e la voglia di vomitare.
Voglia di scappare, voglia di avere un figlio, voglia che la notte non finisca mai, voglia di te amore mio, voglia del sorriso di mia nonna, voglia di gelato, voglia d'indipendenza. Voglia di sogni andati in mille pezzi, ed incomprensione ed odio. Voglia di insulti e botte, voglia di passato e voglia di futuro. Pensieri e ricordi lontani, nostalgia di un'adolescenza trascorsa male ed in fretta. Voglia di evasione, voglia di corse a piedi nudi sull'erba gelata, voglia di pagine interminabili, voglia di me, voglia di pioggia addosso, voglia di ridere e piangere ancora una volta, insieme, voglia di essere, voglia di vivere... vivermi, ancora un po'.

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    Grazie
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    -Solo un tatuaggio per ricordare me..

    Alice sta piangendo. Lo fa sempre quando piove. Nella roulotte si sente tantissimo il ticchettio della pioggia. Io la prendo in braccio e penso ai 5 mesi da quando c’è lei. Ho dovuto smettere di andare a scuola perché mia mamma è partita e non può occuparsi di lei. Sono ingrassata, ho sofferto molto, il mio corpo è cambiato.
    Adesso Alice ha fame. Allora mi slaccio la camicetta e comincio ad allattarla. Ha davvero fame, oggi! Succhia come una disperata! Probabilmente sarà l’ultima volta che succhierà così. Domani ho il colloquio con i genitori adottivi. Comincio a piangere e stringo Alice al petto, come se servisse a farla rimanere con me. Eppure sento che darla in adozione sia la cosa giusta. Il mio angioletto si merita due genitori sposati e adulti. Si merita più di una mamma di 16 anni che vive in una squallida roulotte alla periferia di Milano. Smetto di piangere e lei smette di succhiare. Si sta addormentando. Comincio a cullarla fra le mie braccia e accendo lo stereo. “Gabriel-Lamb”, la sua ninna-nanna. Lentamente chiude gli occhi e il sonno la rapisce. Anche per me è ora di dormire. Domani sarà una giornata importante.
    Alle 7.00 di mattino mi sveglio, tiro fuori dal piccolissimo armadio il vestito più bello che ho. Prendo Alice fra le mie braccia e mi incammino verso la fermata del bus. Per andare in via Sant’Angelo c’è un bel pezzo di strada. Dopo tre quarti d’ora sono dentro una stanza d’ospedale. La porta si apre. Entrano la Dottoressa e i nuovi “genitori” di Alice. Ci salutiamo, loro mi sorridono. Anche la Dottoressa mi sorride. Alice si sveglia e ci guarda curiosa. Incomincia il colloquio e dopo un’ora sto firmando dei documenti. È ora di salutarsi. Porto Alice al mio petto, la stringo, piango, anche lei piange, la do in braccio ai due sposi. Hanno deciso di chiamarla Lucrezia. Penso che tutto quello che sto facendo sia giusto e mi sento sollevata. Saluto tutti e me ne torno a casa. Sono soddisfatta. Potrò tornare alla vita di sempre. Sto bene. Sto benissimo. Nella roulotte mi metto sul letto e vedo il disinfettante che usavo per il tatuaggio di Alice. Mia madre mi ha obbligato a farglielo fare. Il tatuaggio consiste nel suo nome, scritto sulla schiena, piccolo, ma leggibilissimo. Penso al suo vero nome e penso che sia il più bello del mondo. Poi penso a quello nuovo, “Lucrezia”. Che nome schifoso!!!! E che antipatici e arroganti quei due bambocci che hanno rapito la mia piccola. Quella maledetta dottoressa che mi ha convinta a darla via. Quella maledetta puzza di ospedale, di gente che non ha problemi, di gente felice di vivere, felice di poter rubare una bimba alla sua mamma. Io non sto bene. Non sto bene. Voglio la mia Alice. Voglio la mia bambina. Comincio a urlare, a piangere, a buttare per aria tutta la roulotte. Penso alla vita che ho sempre dovuto fare, alla vita malandata, povera, senza limiti. Penso alla mia famiglia. Non mi ha mai voluto bene nessuno. Né mio padre, l’uomo più alcolizzato della terra, né mio fratello grande, drogato e violento, né i miei nonni, né i miei fratellini più piccoli, né il ragazzo che amavo e che mi ha ingannata..e soprattutto mia madre. Penso all’ultima volta che l’ho vista: mi ha obbligata a far fare il tatuaggio su Alice. Per la prima volta nella mia vita, provo un moto di affetto verso mia madre: quel gesto che ho sempre considerato sbagliato, offensivo e che lei mi ha obbligato a fare, adesso mi sembra l’unica cosa che la mia bambina ricorderà di me. Il suo vero nome, il nome che le ho dato. Improvvisamente penso alla faccia che avrebbero fatto vedendo il tatuaggio i suoi nuovi genitori.
    In quel momento provai odio per loro. Provai soddisfazione per quel tatuaggio. Stavo impazzendo, dovevo calmarmi. Mandai un bacio al cielo, alla mia piccina. Mi addormentai e tutti i pensieri di odio sparirono dalla mia mente, occupata solo dal viso della mia Alice.
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    Un posto migliore
    Sto correndo su una spiaggia. Era da tantissimo che non lo facevo. La mia mano ne stringe un’altra. Quella di Emma, la mia bambina. Ormai ha 7 anni. Come sono passati in fretta, questi anni. Mi sembra ieri quando è nata. Mi sembra ieri quando lei, a 4 anni, mi ha retto il velo bianco, lunghissimo, come lo voleva lei. Mi sembra ieri quando io e Filippo siamo andati a fare quel viaggio da soli. Mi sembra ieri quando sono andata a portare un mazzo di fiori sulla sua tomba..ma un momento! ERA ieri! Ma Filippo ormai non c’è più da tre anni. Di lui mi è rimasto solo il ricordo, una tomba grigia di marmo, le foto..e Emma. Si, proprio la nostra bella creatura, la bimba con cui ora sto correndo. È successo per caso: eravamo sedute sugli scogli, quando lei mi ha preso la mano e mi ha detto: “ Mamma, corriamo sulla spiaggia, come mi avevi detto che facevi col papà, quando eravate fidanzati!!”. Io dapprima mi sono tirata indietro, ma poi ho visto che ci teneva veramente. In effetti gliel’avevamo raccontato tante volte, di come correvamo sulla sabbia, per mano, a piedi nudi, con le onde che ci bagnavano un po’..allora mi sono alzata e l’ho presa bene per mano. Poi siamo scese dagli  scogli e abbiamo incominciato a correre. Lei ride, io rido. Ridiamo come due pazze. La spiaggia è interminabile. È il tramonto. Non c’è nessuno. Continuiamo a ridere e a correre. Poi ci buttiamo sulla sabbia e comincio a baciarla. Lei mi bacia. Il buio si avvicina. Noi siamo abbracciate sulla sabbia dorata, immobili, senza parlare, solo respirando piano. Il rumore delle onde del mare, il vento che scompiglia i capelli soffici di Emma, la luna che spunta. È ora di tornare a casa. La prendo in braccio. Mi avvio sulla strada, ma poi mi giro, guardo il mare e mi viene da piangere. Trattengo le lacrime per non spaventarla. Ma lei mi sente lo stesso. Si aggrappa al mio collo e mi asciuga le lacrime, che sono scese, traditrici. Sorridendo mi dice: “Mammina, non ti devi dispiacere per il papà..lui ora è in un posto migliore, pieno di spiagge e di mari dove correre..” “ Si, hai ragione amore, ora sta in un posto migliore..”
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    Greta, per favore scrivici usando Contattaci in alto  così potremo aiutarti a registrarti.

    Ciao
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    Non riesco a registrarmi x cui metto qui il mio racconto:
    Non ti dimenticherò mai

    Uno squallido bagno di un ospedale di milano. Il mio cercapersone suona: urgenza..mi tocca correre al pronto soccorso per vedere cos’è successo. La guardia medica sta urlando: Gabriele Salvo, 38 anni, gravi ustioni al viso e agli arti superiori e inferiori, lesioni su tutto il corpo..incidente d’auto, la donna al suo fianco è morta sul colpo. Io sono più stanca che mai, ho fatto una giornata di 24 ore in ospedale, ma comunque, al suono del nome del ferito, trasalgo. Ma mi decido a non pensarci, e porto l’uomo in reparto. Ordino subito di preparare una sala operatoria. Mi accerto che Gabriele entri in sala e poi, finalmente, me ne vado a casa. Prima di addormentarmi, comincio a pensare al ferito di prima: non è possibile..si, certo, ha la mia età..e si chiama Gabriele Salvo..ma non può essere lui..non può essere il primo ragazzo della mia vita, quello a cui ho dato il mio primo bacio..il sonno mi rapisce.
    DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN..il piccolo appartamento è invaso dall’acuto suono della sveglia..a fatica, spengo quell’assordante aggeggio e vado in bagno a cambiarmi. Come l’acqua che sta riempiendo il lavandino, la mia mente è invasa dal pensiero di Gabriele. Mi decido a credere che sia davvero LUI e appena arrivo all’ospedale, passo nella sua stanza, per vedere come sta. Ma quando arrivo nel corridoio, vedo che la stanza 43 è occupata da una vecchia signora. Allora chiedo al capo-reparto dove sia finito il ferito della sera prima.
    “Ma non lo sa?? Non è riuscito a passare la notte, le sue ustioni erano troppo gravi, non riusciva a respirare..è morto alle 5.00 di questa notte. Perché?”
    “ Niente, volevo solo sapere.”
    Come avevo fatto ad essere così sciocca?? Come avevo fatto a non pensare che sarebbe potuto morire?? Ero così presa dal pensiero che potesse essere il mio primo amore, che non pensavo ad altro!!
    Vado in sala d’attesa e mi prendo un cappuccino. Nalla sala ci sono una coppia anziana, un ragazzo giovane e un donna che piangono disperati, In braccio alla donna c’è un bimbo di 2 anni appena, e solo lui dorme tranquillo e sereno. Avrei potuto riconoscere ovunque quella famiglia. Erano loro. Mi avvicino. Mi presento. Tutti loro si ricordano di me. Comincio a piangere con loro. Chiedo di chi è il bambino e Alessandro, il fratello minore di Gabriele, mi dice che è il figlio di Gabriele e della sua fidanzata, morta anche lei nell’incidente. Mi dice che si sarebbero dovuti sposare fra 3 settimane. Il cercapersone suona. Il lavoro mi chiama. Saluto tutti e faccio le condoglianze.
    È l’1.00 di notte e sto per infilarmi nella doccia, quando si apre la porta dell’appartamento. Mi ero dimenticata che era sabato, sarebbero tornati dalla Spagna. Corro alla porta e abbraccio mio marito e la mia bimba di un anno. Sono tutti e due abbronzati, soprattutto Giorgio. Io e lui parliamo per un po’, ma siamo tutti stanchi e andiamo a dormire dopo poco. Nel letto gli racconto di Gabriele e contro il mio volere, scoppio a piangere. Lui mi abbraccia e mi consola. Sto un po’ meglio. Il sonno, come al solito, mi rapisce.
    La mattina dopo mi sveglio più presto del solito, ma per andare a un funerale. Al suo funerale. Non lo dimenticherò mai.

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