Era da tempo che i miei demoni mi tormentavano.
E le mie notti erano insonni.
Ancora dormii, di un sonno inquieto.
Pieno di incubi.
In un modo o nell'altro, di giorno e di notte, il mio stato ricorrente era rivivere gli ultimi attimi con lei.
Così devastanti.
Non proprio felici.
Aprii gli occhi.
Solo con me stesso, in quella stanza anonima di albergo.
Non potevo rimanere lì.
Il sole estivo del mattino era già rovente e me lo sentivo bruciare sulla testa.
I ricordi, inevitabilmente, ripresero a scorrere.
Aveva gli occhi di sempre, nell'ultimo nostro giorno.
Resi gelidi, insensibili, inesorabili, da quello che stava per dire.
Il suo sguardo l'aveva tradita.
Pensai che non avrebbe potuto mai cambiare quegli occhi.
Avrei voluto urlare, ma rimasi in silenzio a guardarla.
Fu veloce nel dire e poi, lentamente, mi volse le spalle, incamminandosi.
Ad ogni passo diventava sempre più piccola.
Ad ogni passo più vuoto il mio cuore.
All'improvviso arrivò il mio urlo, con il suo nome, a strozzare la mia gola.
Lei si voltò, urlando qualcosa di risposta, senza fermarsi.
Ma il rumore e la confusione, non me lo fecero capire.
Dietro lei si vedeva la città.
E ancora dietro le verdi montagne genovesi, di un verde splendente, nel riverbero del sole.
Pensai che se ne era andata in fretta.
Troppo.
Senza fare attenzione, a ciò che stava lasciando.
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