Una goccia da un rubinetto che non chiude bene. Cade sulla superficie riscaldata dal sole. Evapora presto. Scompare nell'aria tiepida di un pomeriggio di marzo. La settimana prossima sarà primavera. Il suono mi scuote dal torpore ricordandomi lo scorrere del tempo. Resto immobile ad occhi chiusi, le palpebre baciate dagli ultimi raggi che sanno raggiungere la finestra di casa. Tra poco, un tramonto precoce porterà l'ombra dei palazzi più alti, raffreddando la parete e rompendo l'incanto di un momento che ho allungato come un caffè, scivolando in pensieri onirici di vita mai vissuta.
Ero, con quei pensieri, nei giorni trascorsi con te. Sensazioni così lontane, come se fossero reali. Stavi bene, stavo bene. Nessun labirinto, il mondo era facile e raggiungibile. Sorrisi e frasi appena accennate, l'intesa era perfetta, non ci serviva spiegare. Guardavo le mie dita sul tuo volto, una carezza lenta. Mi piaceva sempre aspettare il momento in cui prendevi la mia mano tra le tue, mi sentivo abbracciata e mai imprigionata. La baciavi. Occhi senza segreti e respiri sereni. Intanto il mare leccava la sabbia, come se cercasse di scoprire sapori sconosciuti. Dieci onde corte, una più lunga. Le contavo e non combaciavano mai. Noi invece sì, combaciavamo in tutto. E, sempre in quel torpore, mi chiedevo chissà se anche tu navighi questi nostri ricordi e mi piaceva pensare di sì e mi piaceva credere che lo facessi contemporaneamente, come se ci fosse la possibilità di incontrarsi in qualche modo, in una dimensione altra.
Poi la goccia, come una sveglia, un tocco sulla spalla per accorgermi che tu non puoi navigare i sogni miei. Ma ancora, nell'ombra sopravvenuta, mi chiedo chissà.
Composto venerdì 17 marzo 2017
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