Egli dipinse un quadro i cui colori somigliano a smalti di luce e i corpi sono statue greche un attimo prima di prendere il volo nella bellezza assoluta. Eppure è un quadro di tenebre. Cristo e Maria hanno volti apollinei contratti in un dolore dionisiaco. Come ogni uomo e ogni donna chiedono: perché? Non sembrano saperne più degli altri uomini e delle altre donne. Non hanno magie da fare. Cristo si dirige sul Monte dei Teschi schiacciato dalla Croce: ha l'inferno sulle spalle, levigato ad arte da uomini capaci di raffinata razionalità quando il fine sono la guerra o la tortura. Lo aspetta l'inferno ligneo della crocifissione. Un soldato lo minaccia con una lancia e un altro lo trascina con una corda. È immerso nell'inferno degli uomini e piange sul loro inferno. Soltanto un altro uomo lo aiuta, uno passato lì per caso, il Cireneo, con quel poco di pietà che resta agli ignari non conniventi con lo spettacolo. Cristo passa e ovunque ha bisogno di cirenei, fosse anche solo per qualche metro di strada. La madre piange il figlio. Il figlio piange perché, come ogni uomo, non tollera il dolore della madre che a braccia aperte vorrebbe riprenderselo in grembo. Difficile dire se in quel gesto materno ci sia più l'arrivo o la partenza, il ricevere o il donare, il porto o lo spasimo.
dal libro "Ciò che inferno non è" di Alessandro D'Avenia
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