Narrando le vicende/vicissitudini di due protagonisti legati da un destino di reciprocità, "Unbreakable" esprime l'idea d'un disastroso equilibrio cosmico fra guadagni e perdite. David Dunn ed Elijah Price sarebbero, loro malgrado, l'opposto e il completamento l'uno dell'altro secondo una superiore e vessatoria legge universale di compensazione. Entrambi scoprono di trovarsi ai poli antitetici lungo il medesimo asse, perciò se a Willis è concesso il potere della (quasi) invulnerabilità e della chiaroveggenza, che lo consacra a una sorte da paladino della Giustizia, viceversa Jackson presenta una patologia che ne rende la massa scheletrica estremamente fragile, mentre la sua volontà è oltremodo salda e solida nel perseguire l'obiettivo prefissato a scapito di centinaia di vittime. Tuttavia il dono infuso a Dunn è soltanto apparente, poiché egl'incarna un "supereroe" incapace di gestire la propria vita e dall'interiorità forse più precaria delle ossa de "L'Uomo di Vetro": un semidio che per giunta nulla può retroattivamente contro le stragi perpetrate dall'amico/rivale, riuscend'a malapena nel limitare i danni delle sciagure senza però potervi porre un vero rimedio. Nonostante la coppia white & black arrivi a giudicare se stessa e ogn'altra cosa dalla corretta prospettiva, quella di cui sarebbero capaci i bambini (cfr. le inquadrature capovolte), il chiarificatorio raffronto conclusivo sembrerebbe tra loser accomunati da un'identica tar'ancestrale: così diversi nei rispettivi ruoli, così simili nell'impotenza di fronte a un Destino tutt'altro che proverbialmente cieco. A ben vedere, infatti, il convergere fra la gravosa missione intrapresa da Dunn e la ragione dei barbari eccidi commessi per un lucido scopo da Price lascia il campo aperto all'ipotesi che valori positivi e negativi si bilancino nella patta d'una somma zero, come farebbe altresì intendere la netta posizione della moglie Audrey contr'i giochi senz'esclusione di colpi. Quest'idea, seppur original'e spiazzante, è comunque irrealisticamente ottimistica rispett'ai princìpi termodinamici che, almeno per ora, escludon'il moto perpetuo, un rendimento maggiore o anche sol'uguale al pareggio, il prevalere della neghentropia. "Unbreakable" è ritenut'il miglior prodotto cinematografico di Shyamalan col sequel già in cantiere. Figuriamoci il resto della sua filmografia.
In collaborazione con Mauro Lanari
Un Grazie a Fabio Lanari
Tra il '94 e il '95 i Gallagher goderono d'una prodigiosa fecondità artistica: Noel componev'alla chitarra le sue migliori canzoni quand'erano già in studio e durante le pause del resto della band, mentre Liam imparava dal fratello le melodie al prim'ascolto ed era già pronto ad andar'in sala per registrarne la versione definitiva. I primi che s'accorsero della natura magica di quest'esperienza furono loro stessi, e con la profondità d'un fenomenologo delle religioni quale Rudolf Otto: oltre a cotanta fanìa "numinosa-misteriosa", colsero pur'il sovrastare del "tremendum" sul "fascinans". Non si fecer'ingannare da intese telepatiche, ispirazioni miracolose, incontri e coincidenze straordinarie (a es. quella con Alan McGee, il proprietario della "Creation", all'epoca la miglior etichetta discografica inglese). Furon'anche sempre consapevoli della transitorietà del loro successo proprio poiché ciò che di buono e di bello gli capitava era palesemente, sfacciatamente, spudoratamente al di fuori d'ogni umana forma di controllo o gestione. L'eccezionale pregio del lungometraggio di Whitecross consiste nell'aver colto e catturato tutt'i singoli attimi di tale vicenda, ch'il duo di Manchester non esita a definire "biblica", dall'incipit d'"Abele e Cabele" ("Abel and Cable") all'epilogo sul fatuo svanire del luccichio dei fuochi d'artificio. La tragica coscienza del "sic transit gloria mundi" è espressa pure nei titoli dati agl'album d'esordio, "Definitely Maybe" e "(What's the Story) Morning Glory?": si lambisce una condizione pseudodivina giusto quel tanto per poi risprofondare nella miseria quotidian'a una velocità ancor più "supersonica". Liam parla degl'Oasis alla stregua d'un gruppo di "bastardi", ma la bastardaggine, prim'ancora che com'epiteto dispregiativo, andrebb'intesa come quel randagismo esistenziale denunciato dalla filosofia cinica fino a Heidegger e dalla chiusa kafkiana de "Il processo" fin'al Jim Morrison di "Riders on the Storm", il nostro essere can'in perenn'agonia a causa d'un qualcosa di basilare ch'ancora ci viene negato. Inevitabile il raffronto col documentario sui Police firmato da Grieve: stess'incroci straordinari (cfr. "Synchronicity"), stess'esito crocifiggente, anche se nel biopic di Grieve manca l'essenza del film di Whitecross, l'immediata autoconsapevolezza del proprio martirizzante destino. In quell'arco di tempo trionfale sol'in apparenza, uno della band ebb'un esaurimento nervoso e un altro dovette smettere poiché stava perdendo l'udito: apodittica testimonianza dell'illusorietà di presunte “Oasi" di pace non inclusive né tantomeno definitive. Sicché, allo stato delle cose, "no way out": no "Gimme Shelter" from the "Helter Skelter".
In collaborazione con Mauro Lanari
Un Grazie a Fabio Lanari
Davide Schiavoni e Mauro Lanari