Sin da piccolo provavo repulsione per il disegno geometrico, per quell'ingabbiare tratti di matita in noiosi quadretti, tirare linee schiave di righe e compassi, ma se mi regalavi un foglio bianco, la mia mano si sentiva libera di colorare i miei pensieri senza margini, senza remore. Allo stesso modo, quando ami, devi saper disegnare su un foglio nudo, magari sbagliando, scrivendo di traverso, componendo forme apparentemente incomprensibili. I geometri del sentimento non sanno cosa si perdono.
Quando ti lasci dietro quella porta, la tentazione di lasciarla socchiusa è forte, quel desiderio di un ritorno travestito di masochismo e ingenuità, quello spiraglio di luce, così minuscolo, ti lacera i pensieri, li contorce e li umilia. Ho capito che quando ti volti a guardarla, devi trovare il coraggio di spingerla un po' più in là, gettare la chiave nei solchi del passato e iniziare a camminare, senza paure, claudicante ma fiero, senza meta.
"Non ti muovere", le sussurrai "Perché?", mi disse, intimorita. "In questo esatto istante ci sono i tuoi occhi riflessi nella luna!" Mi fissò per un paio di secondi e si perse in un'irrefrenabile risata. "Perché ridi?", le chiesi. "Come perché? Volevi dire che la luna si rifletteva nei miei..." La interruppi repentinamente, "no, no, era esattamente tutto quello avrei voluto dirti".
Non v'è nulla di assoluto nel tempo, è alleato nella sofferenza, nemico nell'allegria, letargico nella solitudine, fulmineo nella felicità. Il tempo non è ciò vedi, è quello che sei.
Dopo due anni casualmente le nostre esistenze si incrociarono nuovamente. "Come stai?", mi chiese. "Tutto bene, grazie", le risposi timidamente. Evitai di specificare che il mio tutto fosse lei.
È una questione di fisica, di semplice, pura, incontrovertibile fisica. Se tu sei al centro dei miei pensieri, la mia vita non può che orbitare attorno a te. Nulla può la forza di volontà contro la forza di attrazione gravitazionale tra due corpi dello stesso sistema emozionale.
È la potenza primordiale del suo suono, capace di sbriciolare la roccia più coriacea, di vestire di lacrima il suo nome, di accendere uno sguardo grigio. Le sue carezze non passano mai di moda, un continuo erogare amore senza mai chiedere. Le mie dita coprono le rughe di un viso stanco, attraversano capelli ormai bianchi, ma lo sguardo resta sempre quello, dolcezza immersa nella malinconia, due occhi che cercano luce nei miei. Mamma.
Mi ci sono affezionato perché l'ho visto nascere quando era un minuscolo mai, poi l'ho osservato crescere lentamente e trasformarsi in un adolescenziale, timido forse. Ora mi emoziono nel vedere quanto sublime e travagliata sia stata la metamorfosi di questo sì, una vita nella vita.