Scritta da: Francesco Sessa
Conoscere una persona a memoria significa sincronizzare i battiti del proprio cuore con i suoi, farsi penetrare dal suo ritmo...
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Conoscere una persona a memoria significa sincronizzare i battiti del proprio cuore con i suoi, farsi penetrare dal suo ritmo...
Tu non devi pensare a quel che provi per me, devi pensare se ti piace come ragiono, come vivo, come mi comporto, e soprattutto in cosa credo.
Cercavo sempre di rintanarmi in un angolo, nascosto da tutto e da tutti, piegato su me stesso a scrivere, dando le spalle al mondo. Come se il mondo fosse il passato, come se la scrittura fosse una piccola navicella silenziosa, la mia macchina del tempo che viaggiava verso un mondo perfetto, fatto di attenzioni e tranquillità. Scrivevo nel tentativo di aggiustare il mondo e di avvicinarlo a me.
Ci sono persone che non riescono a costruirsi l'armatura e altre che non riescono più a liberarsene.
Avrei voluto essere più... più tutto. Avrei voluto prenderla per mano quando attraversa la strada come solo un uomo sa fare, aspettarla ogni giorno fuori dal suo ufficio per vederla venire verso di me sorridendo. Avrei voluto saperle comprare un vestito che le piacesse. Essere una cosa bella per lei, un bel pensiero, una buona parola, un buon attimo di silenzio.
Sentivo che mi leggeva dentro, e io avrei voluto essere più uomo con lei. Avrei voluto essere quell'abbraccio in cui desiderava perdersi. Protetta e libera di lasciarsi andare, perché tanto c'ero io a prendermi cura di lei, a difenderla dal freddo e dal male.
Di solito per sposarsi bisogna credere che sarà per sempre. Anche se il per sempre non esiste. Ci devi credere.
Riordino i pensieri, e osservo un po' la mia vita. Sono molto intimo con me stesso nelle ore del mattino. Molto più che la sera. Mi capita spesso, quando vado a letto, di pensare alle mie cose, ma negli anni ho scoperto che al mattino sono più buono con me stesso. Più tranquillo.
Non ho mai avuto il coraggio di farmi un tatuaggio. Sempre per via della paura legata al "per sempre".
Piangevo tutti i giorni. Piangevo, ma non volevo tornare a casa. Mi sentivo solo, vulnerabile, sperduto in un mondo che non si accorgeva di me, che sembrava non mi volesse. Sin da piccolo, mi ero sempre sentito come uno che stava a una festa a cui non era stato invitato. Ma lì, a Londra, quel sentimento aveva creato in me un desiderio di guadagnarmi uno spazio. Io volevo farne parte.