Frasi preferite da Ida Cuomo

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Ti ho atteso come Penelope aspettava Ulisse, come Giulietta aspettava Romeo, come Beatrice aspettava Dante per riscattarlo. Il vuoto della steppa era affollato dai ricordi di Te, dei momenti passati insieme, dei luoghi nei quali siamo stati, delle nostre gioie e delle nostre discussioni. Ma quando guardavi indietro, verso le orme dei miei passi, non ti vedevo. Ho sofferto molto. Ho capito che avevo imboccato un cammino senza ritorno, e mi sono resa conto che, quando agiamo così, non possiamo fare altro che continuare per quella strada. Allora sono andata da un nomade che avevo conosciuto tempo prima, gli ho chiesto di insegnarmi a dimenticare la mia storia personale, ad aprirmi all'amore che è presente in ogni luogo. Con lui, ho cominciato ad apprendere la tradizione del Tengri. Un giorno, guardandomi intorno, ho visto quell'amore riflesso in un paio d'occhi: nello sguardo di un pittore di nome Dos.
Ero molto addolorata: non potevo credere che fosse possibile amare di nuovo. Lui non mi ha detto molte cose: mi ha solo aiutato a perfezionare il russo, e mi ha raccontato che nella steppa usano sempre la parola "azzurro" per designare il cielo, anche quando è grigio - perché sanno che al di sopra delle nuvole è sempre di quel colore. Mi ha preso per mano, e mi ha aiutato ad attraversare queste nuvole. Mi ha insegnato ad amare me stessa, prima che ad amarelui. Mi ha rivelato che il mio cuore doveva servire me e Dio, e non essere assoggettato alle necessità degli altri.
Mi ha detto che il mio passato mi avrebbe accompagnato per sempre: tuttavia, quanto più fossi riuscita a liberermi dei fatti e a concentrarmi solo sulle emozioni, tanto più avrei capito che nel presente esiste sempre uno spazio grande come la steppa, che dev'essere colmato con atro amore e altra gioia di vivere.
Infine mi ha spiegato che la sofferenza nasce quando ci aspettiamo che gli altri ci amino nel modo che immaginiamo, e non nella maniera in cui l'amore deve manifestarsi - libero, incontrollato, pronto a guidarci con la sua forza e a impedirci di fermarci.
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    Anche se so di aver perduto per sempre la donna che amo, devo sforzarmi di vivere tutte le grazie che Dio mi ha concesso oggi. Le grazie non possono essere risparmiate. Non esiste una banca dove io posso depositarle, per utilizzarle quando sarò di nuovo in pace con me stesso. Se non userò queste benedizioni, le perderò irrimediabilmente.
    Dio sa che noi siamo gli artisti della vita. Un giorno, ci dà un mazzuolo per scolpire; un altro i pennelli e i colori per dipingere un quadro, oppure la carta e una penna per scrivere.
    Ma non potrò mai impiegare il mazzuolo per le tele, o il pennello per le sculture. Dunque, sebbene sia difficile, devo accettare le piccole benedizioni dell'oggi, che mi sembrano maledizioni, perché io sto soffrendo e la giornata è davvero splendida, con il sole che brilla e i bambini che cantano per la strada. Solo così riuscirò a uscire dal dolore e a ricostruire la mia vita.
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      Una mattina, un contadino bussò energicamente all'uscio di un convento e, quando il frate portinaio aprì, l'uomo gli porse un magnifico grappolo d'uva.
      "Caro frate portinaio, questa è l'uva più bella mai prodotta dal mio vigneto. E sono venuto qui per regalarvela".
      "Grazie! La consegnerò immediatamente all'Abate, che sarà felice di questa offerta".
      "No! Io l'ho portata per voi".
      "Per me? Io non merito un dono della natura così bello".
      "Ogni volta che ho bussato al portone, voi avete aperto. Quando ho avuto bisogno d'aiuto perché il raccolto era andato distrutto a causa della siccità, voi mi avete dato un pezzo di pane e un bicchiere di vino, tutti i giorni.
      Desidero che questo grappolo d'uva vi rechi un po' dell'amore del sole, della bellezza della pioggia e del miracolo di Dio".
      Il fratello portinaio posò il grappolo davanti a se e passò tutta la mattina ad ammirarlo: era veramente bello.
      Per questo, decise di consegnare il dono all'Abate, che lo aveva sempre incoraggiato con le sue sagge parole.
      L'abate fu assai contento di quel regalo, ma si ricordò che nel convento c'era un fratello malato, e pensò: "Gli darò questo grappolo d'uva. Chissà che non arrechi un po' di gioia nella sua vita".
      Ma quell'uva non rimase molto a lungo nella cella del frate ammalato perché questi si disse: "Il fratello cuoco si è preso cura di me, nutrendomi con i piatti migliori. Sono sicuro che quest'uva lo renderà molto felice".
      Quando all'ora di pranzo, il frate cuoco si presentò con il pasto, gli consegnò il grappolo.
      "È per voi! Poiché vivete in contatto con i prodotti che la natura ci offre, saprete cosa farne di quest'opera di Dio".
      Il frate cuoco rimase affascinato dalla bellezza del grappolo e fece notare al suo aiutante la perfezione degli acini. Erano talmente perfetti che nessuno avrebbe potuto apprezzarli meglio del frate sacrestano, il responsabile del Santissimo Sacramento, che molti nel monastero consideravano un sant'uomo.
      Il fratello sacrestano, a sua volta, donò l'uva al novizio più giovane, dimodoché questi potesse comprendere che l'opera di Dio risiede anche nei minimi dettagli della Creazione.
      Quando il novizio la ricevette, il suo cuore si riempì della Gloria del Signore, perché non aveva mai avuto un grappolo così bello. Ma, nel medesimo istante, si ricordò della prima volta, che era venuto al monastero e di chi aveva aperto l'uscio. Era stato quel gesto che gli aveva consentito ditrovarsi adesso in quella comunità di uomini che sapevano apprezzare i miracoli.
      Così poco prima del calare della sera, eglì portò il grappolo d'uva al fratello portinaio.
      "Mangiate e rallegratevi" disse. "Perché voi passate la maggior parte del tempo qui da solo, e quest'uva vi farà molto bene. "
      Il frate portinaio capì allora che quel regalo era veramente destinato a lui; assaporò ogni acino di quel grappolo e si addormentò felice. In questo modo, il circolo si chiuse: un circolo di felicità e gioia, che si estende sempre intorno a chi è in contatto con l'energia dell'amore.
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        Il mito mongolo della creazione del mondo racconta:

        Apparve un cane selvatico azzurro e grigio
        il cui destino era imposto dal Cielo.
        Aveva per compagna una capriola.

        Così comincia un'altra storia d'amore. Il cane selvatico con il suo coraggio e la sua forza; la capriola con la sua dolcezza, il suo intuito e la sua eleganza. Il cacciatore e la preda si incontrano e si amano. Secondo le leggi della natura uno dovrebbe distruggere l'altra - ma nell'amore non esistono nè bene nè male, non c'è costruzione e nemmeno distruzione: ci sono solo movimenti. E l'amore cambia le leggi della natura.
        Nelle steppe da cui provengo, il cane selvatico è un animale femminile. Sensibile, abile nella caccia perché ha sviluppato il proprio istinto ma, nel contempo, timido. Non usa la forza bruta, bensì la strategia. Coraggioso e cauto, ma rapido. Nel volgere di un attimo, passa da uno stato di rilassamento totale alla tensione che gli serve per ghermire la sua preda.
        La capriola possiede gli attributi maschili: la velocità, la comprensione del territorio. La capriola e il cane si muovono nei rispettivi universi simbolici. Sono due realtà impossibili che, quando si incontrano, superano le rispettive nature e barriere, e rendono possibile anche il mondo. Questo è il mito mongolo: dalle nature diverse nasce l'amore. Nella contraddizione, esso acquista forza.
        Nel confronto e nella trasformazione, si preserva.
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          Scrivere è una delle attività più solitarie del mondo. Una volta ogni due anni, io mi siedo davanti al computer, osservo il mare sconosciuto della mia anima e scorgo alcune isole - idee che si sviluppano e che sono pronte per essere esplorate. Allora prendo la mia barca - il suo nome è "parola" - e scelgo di navigare verso la più vicina. Durante il tragitto, mi imbatto in correnti, venti e tempeste, eppure continuo a remare, sempre più esausto. Sono consapevole di essermi allontanato dalla rotta, di non avere più all'orizzonte l'isola dove intendevo arrivare.
          Tuttavia non c'è modo di tornare indietro: devo proseguire comunque, oppure mi ritroverò perso in mezzo all'oceano. In quel momento, mi attraversa la mente una sequela di scene terrorizzanti: io che trascorro il resto della mia vita parlando dei successi passati, o criticando aspramente i nuovi scrittori, per il semplice fatto di non avere il coraggio di pubblicare altri libri. Ma il mio sogno non era quello di fare lo scrittore? Dunque devo continuare a creare frasi, paragrafi, capitoli, a scrivere fino all'esaurimento, senza lasciarmi paralizzare dal successo, dalla sconfitta, dalle trappole.
          Scosso da questi pensieri assurdi, scopro in me una forza e un coraggio di cui ignoravo l'esistenza: mi aiutano ad avventurarmi nel lato sconosciuto della mia anima. Mi lascio trasportare dalla corrente e finisco per ancorare la mia barca nei pressi dell'isola dove sono stato condotto. Passo giorni e notti scrivendo ciò che vedo, domandandomi per quale motivo sto agendo così, ripetendomi ad ogni istante che questo sforzo è ormai inutile, che non ho più bisogno di dimostrare niente a nessuno, che ho già ottenuto ciò che desideravo e molto più di quanto osavo sognare.
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            D'ora in poi, e per alcune centinaia di anni, l'universo aiuterà i guerrieri della luce, e ostacolerà chi ha dei preconcetti.
            L'energia della Terra ha bisogno di essere rinnovata.
            Le idee nuove necessitano di spazio.
            Il corpo e l'anima abbisognano di nuove sfide.
            Il futuro si è tramutato in presente, e tutti i sogni, tranne quelli che implicano dei preconcetti, avranno la possibilità di manifestarsi.
            Ciò che è importante, persisterà; ciò che è inutile, scomparirà. Il guerriero, però, sa che non è suo compito giudicare i sogni del prossimo, e non perde tempo a criticare le decisioni altrui.
            Per credere nel proprio cammino, non ha bisogno di dimostrare che quello dell'altro è sbagliato.
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              Scritta da: Mela Favale
              ... Voi parlate quando non siete in pace con i vostri pensieri
              e quando non riuscite ad abitare nella solitudine del cuore, vivete nelle labbra,
              dove il suono è distrazione e passatempo.
              E in molti vostri discorsi il pensiero è quasi ucciso.
              Perché il pensiero è un uccello dell'aria, che in una gabbia di parole può forse spiegare le ali
              ma non può certo volare.
              E c'è chi ha in sè la verità, ma non la esprime con parole.
              Nel suo petto lo spirito dimora in armonioso silenzio.
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                Lo Zahir è un pensiero che all'inizio ti sfiora appena e finisce per essere la sola cosa a cui riesci a pensare.
                Il mio Zahir ha un nome e il suo nome è Esther.
                Quando non ho avuto più niente da perdere, ho ottenuto tutto. Quando ho cessato di essere chi ero, ho ritrovato me stesso. Quando ho conosciuto l'umiliazione ma ho continuato a camminare, ho capito che ero libero di scegliere il mio destino. Non so se sono malato, se il mio matrimonio è stato solo un sogno che non sono riuscito a comprendere fintantoché è durato. So che posso vivere senza di lei, ma vorrei incontrarla di nuovo, per dirle ciò che non le ho mai detto mentre stavamo insieme: "Io ti amo più di me stesso". Se riuscirò a dirle queste parole, allora potrò andare avanti, in pace, perché questo amore mi ha redento.
                L'amore è una forza selvaggia. Quando tentiamo di controllarlo, ci distrugge. Quando tentiamo di imprigionarlo, ci rende schiavi. Quando tentiamo di capirlo, ci lascia smarriti e confusi...
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                  Nel lungo viaggio della vita, le strade che percorriamo sono spesso ripide. Solo con la saggezza si può trovare un tratto pianeggiante nell'azzurro del mare. E in quella immensità ci accorgiamo che prima della nascita il tempo era infinito e infinito resterà anche dopo. La tua vita non è altro che una piccola barca che naviga fra due eternità. Infatti la culla dove nasciamo ha la forma di quella di una barca che deve attravesare il mare.
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