"Pensi che migliorerò mai?", chiesi più a me stessa che a lui. "Che un giorno il mio cuore la smetterà di cercare di uscirmi dal petto ogni volta che mi sfiori?"
Ci vuole pochissimo ad innamorarsi -un giorno di vento forte o di vaga solitudine, di sole o di inopinata pioggia, un niente insomma- ma dopo ce ne vuole di tempo per arginare l'ondata! E non è detto che ci si riesca. Si smorza, ma rimane là. Non illuderti. Fa parte di te, delle tue gioie e dei tuoi pianti, delle tue battaglie vinte e di quelle che perderai.
Il mio inconscio aveva conservato per quel momento un'immagine di Edward precisa in ogni dettaglio. Osservavo il suo volto perfetto come fosse davvero lì; la tonalità esatta del colorito glaciale, la forma delle labbra, il profilo della guancia, la luce dorata che brillava negli occhi infuriati. Era infuriato, ovviamente, perché avevo deciso di rinunciare. Serrava le mascelle e sbuffava di rabbia.
Poi però me lo ritrovavo nel cuore, in un gesto distratto che tanto piaceva a lui, nei capelli lasciati sciolti per essere accarezzati meglio, nel vestito del primo appuntamento, nelle scarpe della fuga, nei capelli color carbone di un ragazzo visto per strada.
Guardo la finestra dell'aula di mia figlia e provo una sconfinata, improvvisa tenerezza. Dietro quella finestra c'è lei, con le sue cosine nuove che odorano di nuovo, in mezzo a compagni e compagne inconsapevoli, a lottare. Magari nemmeno se ne accorge ma sta lottando con tutte le sue forze, per rimanere se stessa, per rimanere bambina, per salvarsi. E deve farlo da sola. Oh, penso, se qualcosa le desse l'ispirazione di guardare fuori dalla finestra: un uccellino che si posa sul davanzale, un rumore improvviso, o anche solo il mio muto richiamo di animale a testa in su, il grido del sangue che sento pulsare violentemente, ora, nel petto, in gola, nelle tempie, come quando si sta per svenire: "Dài, stellina, smetti di stare attenta, distraiti, alzati, vai alla finestra, guarda fuori, guarda giù...".