Mi raccolgo in un modo che è solo mio che fa pensare sempre che fuori ci sia freddo e che la mia pelle abbia paura. Le sue mani devono avere a che fare con la neve, ché mi scosto e mi copro allo stesso modo di quando la finestra s'apre ed il gelo s'avvicina. L'attesa mi riguarda in modo esclusivo; gli occhi socchiusi e le pupille che lavorano sotto alle palpebre delicate, ché non è veglia, non ancora sonno, ma fa parte della trepidazione. Il volto pallido, trasfigurato e le mani stringersi a pugno per poi aprirsi e lasciare cadere la mancanza visibile sui palmi vuoti, tra l'aria e le unghie. Graffio pareti di nulla, intonaco cedevole di pensieri incrostati che vengono giù con la vernice sbiadita di certi sogni superati, incisi sulle scapole a monito delle prepotenti e sfacciate speranze giustiziate al fronte e seppellite in trincea.
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