Inchiodo la vertigine ai precipizi. Gli orli sono punizioni anticipate del vacuo. La cadenza invernale sui frutti. Immaturi. Nel tocco senza eco di carne, il dissolversi. M'intrattengo con l'ombra dimenticata d'una presenza, rischiara e scurisce fino all'alba tra i raggi lunari, attraverso l'intelaiatura dei miei spiragli. Non ci sono preghiere in assenza di dei ed è per questo che non guardo più al cielo. Nel riflesso della mancanza anche i narcisi appassiscono in un'immagine non catturata, in resezione sul pelo d'acqua, in rifrazione di steli troppo magri per sostenere il capo. Negli abbracci divelti, gli arti fanno croce sul petto e continuare a chiederli all'inesistente è un'elemosina senza fine. Sulla tua voce che manca sono nemo impersonale. Tra i pini che piangono aghi, costeggio i sentieri introvabili delle città invisibili e manco io stessa a tracciare orma. Avrei seguìto le tue impronte. Dell'altra sabbia le ha coperte. Foto antiche di una me bambina in un granaio dove hanno appiccato incendio. Incido, ancòra adesso, vocali figlie su consonanti materne. E creo parola da dedicarti.
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