Un medioman gialappasiano in un contesto molto più alla Warren Beatty ("Il paradiso può attendere", 1978) che alla James Stewart di Capra (1946). L'argomento serio forse per eccellenza è trattato coi toni della commedia semplice e spensierata, i quali stridono con l'ambizioni d'un film ch'invece non vorrebb'affatto esser'inconsistente, annacquato e, appunto, trascurabile. In questo lavoro di Lucchetti la banalità del quotidiano non viene disinnescata ma si riverbera e dilaga con tanto di messaggio finale sull'accettazione assolutoria e incondizionata della vita, a prescindere da pregi e difetti.