- Jack: Ti tengono in trappola, Rose! E morirai se non ti liberi. Forse non subito perché sei forte, ma prima o poi... Prima o poi quell'ardore... Quell'aldore che amo tanto in te, Rose, quell'ardore si spegnerà. - Rose: Non spetta a te salvarmi, Jack.
Prego che il Padre Celeste possa mitigare l'angoscia del Vostro cordoglio e Vi doni solo il ricordo degli amati defunti e la solenne fierezza che Vi deriva dall'aver deposto un così costoso sacrificio sull'altare della Libertà.
Io avevo da lungo tempo deciso di dire assolutamente tutta la verità, senza rime, senza abbellimenti. Ho avuto resoconti di prima mano di tutti gli eventi ai quali non ho assistito personalmente, le condizioni in prigione, l'evacuazione da Dunkerque, tutto quanto. Ma l'effetto di tutta questa sincerità era così disumano che non riuscivo davvero più a immaginare quale ne sarebbe stato lo scopo. Perché in effetti io fui troppo vigliacca per andare a trovare mia sorella nel giugno del 1940, non andai mai a Balham, quindi la scena in cui confesso a loro è immaginaria. L'ho inventata e infatti non sarebbe mai potuta accadere, perché Robbie Turner morì di setticemia a Bray-Dunes il primo giugno del 1940, l'ultimo giorno dell'evacuazione. E io non ebbi mai la possibilità di chiarire le cose con mia sorella Cecilia perché lei rimase uccisa il quindici ottobre del 1940 dalla bomba che distrusse le tubature del gas e dell'acqua sopra la stazione della metropolitana di Balham. Così mia sorella e Robbie non riuscirono mai a passare del tempo insieme, come tanto avevano desiderato e meritato e come da allora io ho, come da allora io ho sempre sentito di aver impedito, ma quale senso di speranza o di soddisfazione avrebbe avuto un lettore da un finale del genere? Così nel libro ho voluto dare a Robbie e a Cecilia quello che avevano perso nella vita; mi piace pensare che non sia stata debolezza o evasione, ma un atto finale di gentilezza. Io ho restituito loro la giusta felicità.
Una parte di me dice che il ragazzo ha ragione... Che ha fatto per meritarsi questo? L'altra dice: e se invece restiamo? Potremmo dire che salvare il soldato Ryan è stata l'unica cosa buona che abbiamo tirato fuori da questo orrendo casino di merda!
Dopo aver offerto suicidi gratis a tutti, i signori Lisbon rinunciarono ad avere una vita normale. Chiamarono il signor Headley per sgomberare la casa, e vendere i mobili che riuscirono a vendere al mercatino dell'usato. Il signor Lisbon riuscì a vendere la casa, fu acquistata da una giovane coppia di Boston; ovviamente noi prendemmo le foto di famiglia gettate nella spazzatura, alla fine i pezzi del puzzle furono recuperati ma per quanto tentassimo di metterli insieme rimanevano sempre degli interrogativi, uno strano vuoto, modellato armoniosamente da ciò che le circondava, come paesi a noi sconosciuti. Ciò che si trascinarono dietro non era vita, ma una banale lista di fatti frivoli, un orologio sul muro che scandisce il tempo, una camera offuscata a mezzogiorno, e l'assurdità di un'essere umano capace solo di pensare a se stessa. Cercammo di dimenticarle, ma ovviamente era impossibile. I nostri genitori sembravano riuscirci meglio, ormai erano tornati al tennis e ai cocktail in barca, come se avessero già vissuto tante volte eventi simili; eravamo di nuovo in piena estate, era passato più di un anno da quando Cecilia si era tagliata le vene, spargendo il veleno nell'aria, una fuoriuscita alla fabbrica di automobili aumentò il tasso di fosfati nell'aria e causò il formarsi di una pellicola d'alghe così spessa che l'odore di palude infestava l'aria, penetrando nelle ville eleganti. Le debuttanti si lamentarono di fare il loro ingresso in società in una stagione che tutti avrebbero ricordato per il terribile odore, ma gli o'Connor ebbero una trovata geniale, decisero che il tema della festa della loro figlia Alice, anch'essa debuttante, sarebbe stata l'asfissia, ma come tutti, volevamo dimenticare le sorelle Lisbon. Nel corso degli anni sono state dette tante cose sulle ragazze, ma non abbiamo mai trovato una risposta. In fondo non importava la loro età, né che fossero ragazze. La sola cosa che contava è che le avevamo amate, e che non ci hanno sentito chiamarle, e ancora non ci sentono che le chiamiamo perché escano dalle loro stanze, dove sono entrate per restare sole per sempre e dove non troveremo mai i pezzi per rimetterle insieme.
Per uno che non doveva far parte di questo mondo devo confessare che all’improvviso mi costa lasciarlo, però dicono che ogni atomo del nostro corpo una volta apparteneva a una stella, forse non sto partendo, forse sto tornando a casa.
Sarà stata la passione per gli altri mondi o la crescente avversione che provavo per il nostro ma da quando mi ricordo, ho sempre sognato di andare nello spazio.