Scritta da: Alberto Iess
in Poesie (Poesie d'Autore)
Palpebra
La mia palpebra
come acqua
e cemento armato.
Non tiene scritta
ma tutto ha ricordato.
dal libro "Versi dall'Orizzonte" di Alberto Jess
La mia palpebra
come acqua
e cemento armato.
Non tiene scritta
ma tutto ha ricordato.
Ma le lascive fanciulle
colle languide ciglia
e le chiome legate,
si specchiano anch'elle
tra le stelle beate?
Le mielose fragranze
delle loro vesti attillate;
le leggiadre dee delle
steppe alate son forse
tra noi uomini tornate?
Quelle candide bocche
sorridono ancora,
e son fontane di gioia
che si rendon più
fresche ora dopo ora.
Se il sol tramonterà sulla piana
non sarà ombra già su quel frassino;
pria ch'i raggi s'arrampichino
per l'alate pareti della tana.
Ricuso rifugio fuor de li colli
miei, ove non mi sarebbe mai concesso
di cercar rimedio al mio eccesso:
a quei peccati, nostri figli folli.
Perché da qua vedo cieli infranti:
il fumo che li copre è il rimorso
mio e di mille altri naviganti,
che, oggi o il dì ormai trascorso,
vista terra da uno dei lecci tanti,
persi, affidansi alle colline.
Come placidi fanciulli in spiaggia,
scrutate la rossa retta dell'orizzonte.
V'immaginate fatui arcipelaghi
e spiagge sospese sulle creste
dell'onde, ingentilite dalla scomparsa
della brezza marina. Regna la calma
su quelle sabbie immacolate.
S'avete l'ardore, cimentarsi ora
nella ricerca delle terre del tramonto!
Non giungerete oltre le colonne
d'Ercole, e già sarete naufraghi...
Caso volle ch'io bramassi prima
di voi l'impresa squisitamente amara,
tentando invano d'approdar ai lidi
d'un ignoto e compiuto paradiso.
Savio e sognatore son partito,
pazzo e sconvolto son tornato.
Scaraventato in balia di correnti
incontrollabili, fino all'estreme
porte del vizio e del volere mi son
emancipato con depravata grazia.
Ho provato tanta mestizia e
così forte la carica del furore,
che s'avessi avuto un compagno
ad allietarmi il ballo tra le schiume,
l'avrei felice affogato in mare.
Narran della mia lotta colle vele,
la raccontan come il mito d'Ulisse:
invece resto un granchio senza chele,
ché nella mia aspra peregrinazione
nulla ho avvinghiato, catturato.
Non c'è che la distesa di lapislazzuli
oltre l'orizzonte, ed è infinita.
E quella linea, quel vago bagliore,
ad oggi resta fuggitivo, rincorrerlo
rimane solo un deludente errore.
Ho spinto la mia esistenza oltre
la banale consistenza del volere;
v'è solo danza del caso.
Dune di rena scintillanti,
Come nuvole sospese
Galleggiano smarrite
Su schiume di cascate.
È notte: brillano chiare
Le onde irrequiete!
Colle costellazioni fuse
In placida euritmia,
Danzano sempre uguali.
Angeli han preparato
Il paradiso stasera,
e timidamente ammicca
Andromeda alla sorella.
Visione: ombra e luce
Amalgamate in tinte
Offuscate e indefinite.
Ne discutono gli alberi
Col saggio e frigido
Vento del consiglio,
Foglie sibilano ovunque.
Ma ora il cosmo torna
Al loro amore imperfetto!
Al regno della luna
Unito a quello del sole...
Se giorno e notte oggi
Sfumano i contorni
Della nostra realtà,
In cosa si può sperare?
In un'onda squarciante
Che illumini il mondo!
Che giunga superba
Per ripartire nascosta!
Che restituisca forma
All'informi ponti creati!
Là in mare, tu, marinaio
l'aspetti sulle sartie.
È un indizio del futuro:
Non sentirtene accecato,
Ma amalo, desideralo!
Stampa confusa di tinte
Fredde come d'inverno e
Come all'inferno calde.
Troppo acquerello su un castello
Di carta: haec vita est?
Il continuo oltraggio a me uomo,
essenzialmente perpetua galera
d'un'idea libera di volare.
Vivere in catene,
fine dell'umana speme.
Ti ricordo seduto con un libro in mano;
ti scorgo ancora col pensiero, lo sai?
Sulla copertina gialla leggo "Umano, troppo umano".
Continua a leggerlo, ti prego.
Ti voglio raccontar questo ricordo seppur sia vano:
ti parlo ancora nella mia testa, lo sai?
Nietzsche aveva ragione: l'uomo è umano, troppo umano,
ma per me tu sei andato oltre. Abbracciami, ti prego.