Ora... che mangiavo pane e silenzio l'angoscia è di nuovo tornata; un brivido al suono del campanello è arrivato l'inganno... Esseri inquieti assetati d'orgoglio infieriscono di nuovo sulla piaga...
Silenzio è il mio motto: ma l'onta subita si affaccia di nuovo e l'inganno operoso dell'intrigo più nero abbevera l'egoismo.
Infinita la sete di finto buonismo apparire mai essere, solo maschere disgustose.
Ora che mangiavo pane e silenzio torna il gioco della fame più nera, dove perde l'amore e vince lo squallore.
Silenzio è il mio motto: ma, l'egoismo ha sete, beve il coraggio di un gioco vile. Ha bisogno di gioire per mascherare il suo inganno, e l'intrigo si fa duro nel giorno più nero...
Alberi scheletrici avvolti nell'ombra del giorno, la luce dorme sotto il tepore del invernale; ricordi seminati al vento verso una speranza di quiete, sradicando il seme dell'abitudine...
Squallida abitudine urlata e gridata senza chiasso solo con il silenzio del piacere.
Fiore nero: rabbia che spinge lontano, dentro le viscere dell'ansia; una ribellione immota si aggrappa nelle ancore della solitudine. Evita le parole nuvole dentro, fulmini e pioggia sul fiore nero.
Rabbia: un respiro affannoso, dolore, un buio fitto intraprende la mente...
Viscere che si rivoltano solo al pensiero, attimi di collera sfociano in parole contratte da spasimi. Parole non parole, alito senza fiato, solo rabbia che ribolle.
Fiore nero: come il cielo di una notte senza luna.
Urla nel silenzio: non parla il cuore non parla la mente solo l'istino di una verità. Giullari di cera cantano vittoria nella corte decrepita di un vecchio palazzo.
Ancora urla: l'apparire nascosto dietro simulacri stantii di buonismo e pentimento, l'uomo parla mille lingue danza il suo futuro più nero, non pensa la mente gioca solo l'interesse...
Cattedrali vuote erette nel profitto e dalla rabbia di chi è costretto a costruire in giorni tutti uguali, chiuso nella discarica di un volto senza tempo.
Giullari di una corte svanita e pagliacci di un tempo reale...
Era l'ultimo giorno di maggio, mese che brilla di luce particolare. Un mese dove nascere è semplice, le rose schiudono i suo boccioli e la bimba più bella ha visto la luce...
Era l'ultimo di maggio, il sorriso ha preso il colore del raggio di sole che ricama la tua vita.
Colore e amore sempre presente, un inno alla donna che sei... Donna perfetta e imperfetta umana e sicura dentro un guscio di noce o rossa ciliegia...
Canto sublime del mese di maggio sonoro e profondo come un chicco di grano che presto matura...
Nell'eterno frangere di un rio in festa inseguo l'ombra della luce, battito d'ali d'argentea pioggia; specchio rotto di mille stelle dove solo il pensiero osa.
Ed eccomi qui nella sosta obbligata della riflessione, per guardare oltre la tempesta: dove gocce di solitudine incalzano nella quiete della malinconia.
A volte penso che nulla sia più forte del rumore del silenzio; la mia mente è scossa da sensazioni che regalano emozioni intense: dentro di me, me stessa.
Infrangere lo specchio per riflettere in una moltitudine di io, e sono ognuna di loro: solo ombra della luce che s'infrange nel silenzio delle parole.
Acquerello di colori dove sgorga la poesia, meriggi assolati e crepuscoli rosati, albe lucenti: dove il sole si diletta a carezzar girasoli...
Luna che gioca con sentinelle di cipressi, querce che abbracciano il sonno e canti d'uccelli.
Terra antica: dove la storia gronda da ogni lato fra ulivi e viti e remoti casolari vecchi castelli. Colline acerbe e sode come seni di ragazza; e il parlare duro e deciso ricorda il rumore delle balestre...
Terra graffiante e sincera ospitale e chiusa terra che inganna ma onesta terra di casa mia...