Certo per me, amico, è tempo di appendere la cetra in contemplazione e silenzio.
Il cielo è troppo alto e vasto perché risuoni di questi solitari sospiri.
Tempo è di unire le voci, di fonderle insieme e lasciare che la grazia canti e ci salvi la Bellezza.
Come un tempo cantavano le foreste tra salmo e salmo dai maestori cori e il brillio delle vetrate e le absidi in fiamme.
E i fiumi battevano le mani al Suo apparire dalle cupole lungo i raggi obliqui della sera; e angeli volavano sulle case e per le campagne e i deserti riprendevano a fiorire.
Oppure si udiva fra le pause scricchiolare la luce nell'orto, quando pareva che un usignolo cantasse "Filii et Filiae", a Pasqua.
Armata di falce verrà pronta a ingaggiar battaglia. Altri forse avranno un gesto di pietà: fonde pensavano fossero le radici. E certo non sapevano che celavo una continua attesa d'andarmene.
Ma ora a noi avanzano Solo l'inverno e la notte E senza scampo sono le nostre vite In queste città maledette. La morte siede sugli usci delle case o con gli zoccoli di cavallo va per le strade in stridori di migliaia di trombe; o volteggia trionfante sul capo in risa di corvi a stormo.
Invece fiorito è il deserto, popolata di uccelli e di alberi la tua solitudine. Angeli danzano al canto nuovo.
Ma quando declina questo giorno senza tramonto? All'incontro cercato nessuno giunge. E le pietre bevono Il sangue di questo cuore Ancora per miracolo vivo.
Liberata l'anima ritorna agli angoli delle strade oggi percorse, a ritrovare i brani.
Lì un gomitolo d'uomo posato sulle grucce, e là una donna offriva al suo nato il petto senza latte. Nella soffitta d'albergo una creatura indecifrabile: dal buio occhi uguali al cerchio fosforescente d'una sveglia a segnare ore immobili.
E io a domandare alle pietre agli astri al silenzio: chi ha veduto Cristo.
Parole, inerti macerie, brandelli d'esistenze disamorate, panorama del mio paese ove neppure il gesto sacrificale più rompe la immota somiglianza dei giorni, né le vesti sante coprono la nudità degli istinti.
E i poeti non hanno più canti Non un messaggio di gioia, nessuno una speranza.
Non per me il pulito verso. Uno scabro sasso la parola nelle mie mani. Intanto che gli effetti dissepolti marciscono come foglie staccate dalla pianta... Questi i miei giorni vuoti di pudore, i miei canti senza note la verità senza amore.
C'è una povera in via Ciovasso che non può più camminare, e dorme entro i giornali nessuno di quelli che stanno di sopra ha tempo di scendere e salutare.
Per lei è di troppo un po' di scatole per guanciale e stare nel cuore di Milano.
Io non ho mani che mi accarezzino il volto, (duro è l'ufficio di queste parole che non conoscono amori) non so le dolcezze dei vostri abbandoni: ho dovuto essere custode della vostra solitudine: sono salvatore di ore perdute.