Tu che hai la pantera nel nome e ti vesti del suo fascino mortale non appena la preda resta invischiata nell'agguato dei tuoi occhi traditori 'ché nascondono una guerra sorniona da giocar fin allo stremo a colpi di sospiri celandone il pericolo con sguardi pastello;
tu che indossi l'avvenenza del giaguaro e camminando ne utilizzi l'incedere elegante da poter girar gli sguardi ai possibili compagni per placare la tua sete di amore bollente, esaltando ad ogni passo una ferrea fierezza che alimenti foraggiando maculata autostima ottenuta con vittorie sulla vita quotidiana;
tu che t'armi dell'ipnotica attrazione che il volto della tigre effonde sul nervo di colui che ha la sventura di incrociarti senz'aver difese interne, cui irrompi con artigli infiammati dilaniandone lo spirito, assaggiandone la carne per poi riposarti sul fianco appagato;
tu che come il gatto fai le fusa se felice come quando cerchi affetto dopo essere appagata o imitando il miagolio nella parte più elevata, poggiandoti al cuscino che attende i tuoi sogni e stringendoti al braccio del notturno padrone cui riversi ad occhi chiusi la felina dolcezza che regali solamente a chi sa accarezzarti;
tu il cui ricordo mi rivive sulla pelle e respira attingendo ai miei polmoni, ossigena i suoi occhi usando il mio sangue e gode rivivendo ogni istante degli orgasmi che azzurri avvamparono nelle ore più impensate; tu che hai portato una luce dentr'al petto, tu... tu con ludibrio m'hai ridato la vita.
La sordida Illusione ha bussato alla mia porta presentando sufficiente crisantemi increduli, affonda nei miei occhi uno sguardo bagnato, mascherando un sottile sorriso si avvicina sussurrando: "Il figlio dell'ingenua Speranza è morto, schiantato con violenza contro un muro di omertà, il colpo del reale purtroppo non ha retto, abbuffati di colpa della pietra che hai posato". Ed io che a questa nuova non posso altro che stare, urlando vittimismo sputo lacrime di pece, m'accascio sopra il fango respirando il mio dolore, angoscia e morte fusi fanno fiamme nelle vene.
L'Illusione si fa avanti indossando un saio nero con l'acciaio dentro gli occhi d'un ipnotico brillante, tra l'oro dei riflessi mi consola assicurando: "La caduta del figliolo verrà accolta sull'onore". Detto questo porge il braccio, digrignando solidale, ma quello che credevo fosse un valido ristoro si rivela nel pallore del suo squallido movente: la mano la protende e tra le due la testa serra, dicendo di star fermo, sdraiando mi violenta.
"Più non devi ormai temere" - mi sussura compiaciuta- "la tua stupida innocenza m'assicura discendenza ed il vuoto del passato verrà presto rimpiazzato: nel grembo arrivista v'è nascosta la matrice che da sempre hai schivato, pretendendola in segreto; ché siccome io da sola non riesco ad attivare e l'amore serve sacro per l'inizio d'ogni gene penetrandomi nolente l'hai scagliato dalla carne. Carnalmente mi amerai per la mia eternità: è il mio figlio che aspetti, la mia prole che allevi."
Il simulacro della forza che ti infiamma le vene, ti illumina gli occhi, t'affila gli artigli e ti rende felina, seducente e sinuosa alberga nelle fibre d'una meritata bellezza che sfoderi a trofeo nei momenti di battaglia ove, conscia delle armi con cui l'essere, tu, donna equipaggia il corpo misto ad un anima solare, combatti in fin lo stremo per aver ciò che ti spetta rialzandoti sensuale nel momento del trionfo.
Improvviso fu il contatto ed il momento in cui intrecciammo inconsci sentieri di sguardi e carne; se soltanto avessi saputo governare il tempo mentre il cielo testimone scandiva le nostre maree con il sincrono tepore delle sue lacrime ambrate, mentre noi mescolavamo le pulsioni alle paure rendendo irresistibile la reciproca attrazione, ci saremmo spiegati in passioni sconvolgenti e la notte mai avrebbe conosciuto fine.
II
L'istinto e la passione che ti scalda la fronte, gestisce le azioni, fa pulsare il costato e ti rende la donna graffiante che sei, protegge essenza vera mascherando debolezze che controlli al riparo di un petto inespugnabile, ove versi sfumature profumate di te che mostri al meritevole nelle ore soddisfatte, come me che ho apprezzato la tua dolce irruenza saggiandone il sapore ogni singolo secondo.
"Nuovamente alzato a random nel cuore della notte, percorrendo l'uragano che racchiudi nel ventre per cercar di decifrare le nostre equazioni e capir se la tua mano, stringendo cornucopie, innalza alla mia bocca ambrosia o veleno" "Potrei dire lo stesso ma mi piace sentire che t'infili in sogni e mente con tale prepotenza, e anche fosse solo per un attimo di gioia al traguardo potrò dire che n'è valsa la pena."
Il cifrario elegante che utilizzo si imbastisce di eironeia ad ogni suo passaggio: fiabesco si avvicina con fare non curante, mi scava dentr'agli occhi con una finta piuma.
Il nocciolo che trova lo passa tra le mani, lo lustra e lo riguarda, lo ammira e un po' lo teme, ed io che avevo appena sbrogliato la matassa mi trovo a non parlare una lingua che conosco.
Suggerisce delle frasi complicate da equazioni ritorcendo le parole come elastici d'avorio il tutto accompagnato con fare andante adagio da una melodia un po' strana che anche un sordo può apprezzare.
E mentre mi fischietta le cose che ho da dire a volte si rivolta a fissare l'ossidiana che prima aveva inciso parlandomi d'amore, soffiando fiocamente qualche lacrima di gioia;
ed io non faccio altro che imprimere fonemi arrivati chissà come verso un grembo di metallo e quando poi rileggo quei pensieri sussurrati mi riprendo dall'ipnosi che m'aveva generato.
Non importa se fiscali o se pure accompagnati, i discorsi tralasciati devon esser compiacenti perché quando sian riletti da piacere all'ignorante strimpellino il sapere misto a qualche accordo d'anima,
perché questo ancora credo, come quando ero quell'altro, che la cosa più importante quando operi quest'arte: "Musica su ogni cosa, ch'essa allieta ove si posa". E più che altro al come, è sempre meglio il cosa.
L'Illusione è una sordida puttana che professa il solo credo del "godere e moneta", s'approfitta del dolore barattandolo spietata permettendoti per poco una psicosi puerile.
L'Illusione è una viscida usuraia che specula interessi sull'insicurezza, ti anticipa giudaica un'euforica autostima per pretendere più tardi la tua dignità completa.
Le spade hanno marciato entro cuori di legno, salvando dall'asfalto pensatori immortali, e il cuore titubante lasciato a macerare saltella in lungo e in largo con echi di rimando. L'equilibrio naturale è un pendolo danzante e la falce uno scatto che congela questo ballo, lui non torna più da una guerra oramai persa, lei oramai piange la precoce vedovanza.
Il corvo lo accompagna sopra ali di cicogna, sorvola campi immensi con aria di fanciullo, spreca qualche pianto per quella nuova luce, si volta a riguardare il presente che abbandona. Abbandona, capisci? Lui è andato, lei rimane, ed è peggio di morire. Gli spilli dentr'al cuore, la morte dell'amore, il freddo gli permane nelle membra corrucciate.
"Come farò? Quale la forza? A me avverso il destino! Di quale paura, in quale timore, dovrà rifugiarsi il suicidio? Quali le colpe, chissà che doveri per una povera vedova e gravida!"
L'altare ormai lordo di sangue nutre una nenia dai teschi già sepolti, dal coro di sudari svetta un soprano in testa al lamento. E intanto il figlio della luce si allatta sul tonfo del pianto e triste e tetro, per lui ancor più duro sarà il combattimento, pugnando a sé la vita con la sua sola armata.
Ora che la macchina ha oscurato il canto è sempre più difficile poter ridarti in gloria e onore a quel poeta - ancora? - che tosto t'ha innalzata a divina e a provvidenza; umano, mi chiedi, ahimè di ritornare: la macchina - lo sai - ormai ha già covato e l'ospite incurante, che nutre la nemesi, ormai ne è assopito, ne più che mai dipende.
Ricordo e piango, ed ora che soltanto è tornata a me quest'arte spesso mi soffermo attonito a pensare agli spiccioli di tempo sperperati a farsi male, ai sorrisi che, se fatti, calmieravano il dolore (se soltanto avemmo avuto abbastanza sale in testa) od a tutte quelle volte che il sapore del far male umiliava la ragione sotto gli occhi d'un orgoglio beffardo.
Preferisco passeggiare col demonio che trovarmi sul rasoio con me stesso e cercare di sommare i minuti ch'ho investito ad estrarre l'innocenza dalla terra pulsante mentre avvelenavo il sangue e la linfa con un nettare pungente e amaro.
Potrei chiedermi se mi incontrassi a che è valso dare fuoco ai tuoi diamanti o cercar di concimarli con la rabbia, e in tal caso, stando fermo, mi potrei sputare in faccia sbeffeggiandomi maligno.
Fuori da un'amara simpatia altro non resta che sudicia acqua storta, mentre il fuoco che prima ci scaldava sembra averci consumato pelle, spirito e desiderio.
Tu non sai quanto mi manchi, amore. Tu non sai quanto ti amo.
Chi sei tu che dalla tenebra appari e suoni i tuoi capelli come vermiglia rete, offrendo maliziosa il tuo veleno ambrato mentre languida avvicini le mie labbra e guardandomi le accarezzi con un bacio?
Comunque il tuo ariete trova l'uscio spalancato perché se guardi e hai visto anch'io non son da meno, e lesto ti ricambio in modo assai cortese ed anche generoso ché c'aggiungo un po' del mio, e la colpa è un prezzo che non devo pagare.
Chi sei tu che vieni a portare innovamento e stringi nelle gambe una tenue speranza, pretendendo in cambio una tiepida freschezza mentre le tue mani esplorano il petto in cerca di un ansimante e azzurro orgasmo?
Ma sei così fugace e un ostacolo interrompe, il nostro rito cessa e l'equilibrio si fa nero, così rapido è il contatto, come la tua sparizione che neanche faccio in tempo ad imprimerti in memoria; solo un fremito ricorda il tuo sapore vaporoso.
Chi sei tu che t'allontani contro voglia e mi lasci risoluta sbigottito e sorridente, arrivando chissà come forse dalla mia coscienza mentre cavalcando un uragano travolgi le certezze ed in dono m'hai portato consapevolezze nuove?