Concedimi ancora di cambiare maschera, fragile l'essenza che ha rischiato di spegnersi negli angoli incolori della tua assenza. Cerca di guardare oltre il mio sorriso affaticato, cerca le parole che ho lasciato morire sulle scale del tempo. I miei sbagli li ho cuciti su un vestito che indosso in solitudine quando urlo cantando, affidando tutta l'anima al cielo lontano confinante con l'irreale, in cui poterti amare.
Come una piuma nel vento, una fiaba sussurrata nella notte, un cielo visto dal riflesso di uno specchio di una stanza vissuta e respirata, ma nascosta nell'incostanza. Come un violino in un angolo buio, che sogna un assolo sulla scena in luce del mondo, come una luna lontana che strega e cambia le maree, così una donna sa misteriosamente essere, aspettando il silenzio che profetizza l'amore.
Ricordi incastrati tra le mura del tempo rimangono muti nel sole di oggi, finché arriva il suono del vento portando con sé la voce della memoria, che versa negli occhi uno sguardo d'amore per un amore lontano e sconfitto, scucito dalle mani del destino, ma ostinato e caldo su un cuore in esilio.
Ricordo una strada distante dalle mura del mondo, che avanzava leggera presso il tuo sguardo innalzato in un cielo inebriato di lampi ribelli e stelle immutabili, come quei sogni rinchiusi nei nostri abbracci, convergenti nell'amore di quei pregiati giorni, tracciati ormai nella mente e di quelle notti sacre e indecifrabili, passate tra emozioni inedite cosparse anche di silenziose lacrime per non poterti dire di restare, soprattutto nei miei inverni.
Gettai le mie parole ferite fuori dal treno che arrivava lento verso casa tua, perché tu non sapessi la loro origine e l'estensione del mio cuore, che assopito ha preferito il letargo all'esser sveglio, senza il bagliore del tuo volto tracciato dall'amore, che oltrepassa il conosciuto orizzonte.
Abbracciati all'ombra della nostra quercia udivamo il cantare delle ninfe e guardavamo il tramonto abbassarsi lontano come una mistica visione, ma negli inverni avanza l'ululato dei venti, che porta via bellezza e giornate d'amore divenute ricordi. Ogni anno attendo la primavera che allevia i miei sguardi, al riparo fra gli incanti della nostra dimenticata quercia.
Il mio spirito guardiano attende ogni notte l'astro di fuoco bianco che fa luce sui tuoi pensieri sovrapposti ai miei cieli neri, pensieri mutevoli nei sogni, distanti da torbide fonti e sacri come calici di eterne preghiere che dissetano e redimono le ombre inconsce ed inquiete del mio predestinato spirito guardiano.
Un fascio di luce bianca emana il tuo sorriso che hai sempre inciso sui mille volti della tua vita e non smette di illuminare la gente attirata dal tuo modo d'amare. Sei una fonte incessante di carica positiva, sei la vita stessa ed il primo elemento che tesse visioni di meraviglia.
Ricordo una nave, una nave bianca con una striscia blu o azzurra. Parlava di un uomo che aveva amato pur non essendo ricambiato; parlava di uomini persi sulla strada dell'amore; parlava di un mondo spaccato in due o più parti per la parola amore. Io ci son salita qualche volta su quella nave, ma ogni volta mi mancava il respiro e non riuscivo bene a respirare quell'aria che emana, quel puro ossigeno che noi tutti non riusciamo a sostenere. Ma credo che alcuni giorni sulla nave ci son stata e molto spesso mi son rifugiata, per poi tornare e da sola ricordare.
Nel giardino annerito di un mondo lacerato, c'è ancora l'odore di un cespuglio profumato, che cespuglio non è, ma un uomo ripiegato, di foglie ricoperto e di fumo annebbiato. È stato l'unico ad apprezzare fino in fondo la natura, non sradicando per poi innalzare grigie mura, ma curando i suoi paesaggi, comprendendo della natura i linguaggi. Il mondo ora è distrutto, ma rinascere potrà da un sacrificio d'amore, da un atto di dolore, dalla vita preziosa che quell'Uomo darà.