Deh, perché così tardo gli occhi apersi nel divin, non umano amato volto, ond'io scorgo, mirando, impresso e scolto un mar d'alti miracoli e diversi? Non avrei, lassa, gli occhi indarno aspersi d'inutil pianto in questo viver stolto, né l'alma avria, com'ha, poco né molto di Fortuna o d'Amore onde dolersi. E sarei forse di sì chiaro grido, che, mercé de lo stil, ch'indi m'è dato, risoneria fors'Adria oggi, e 'l suo lido. Ond'io sol piango il mio tempo passato, mirando altrove; e forse anche mi fido di far in parte il foco mio lodato.
Quando fu prima il mio signor concetto, tutti i pianeti in ciel, tutte le stelle gli dier le grazie, e queste doti e quelle, perch'ei fosse tra noi solo perfetto. Saturno diègli altezza d'intelletto; Giove il cercar le cose degne e belle; Marte appo lui fece ogn'altr'uomo imbelle; Febo gli empì di stile e senno il petto; Vener gli dié bellezza e leggiadria; eloquenza Mercurio; ma la luna lo fè gelato più ch'io non vorria. Di queste tante e rare grazie ognuna m'infiammò de la chiara fiamma mia, e per agghiacciar lui restò quell'una.
Arbor felice, aventuroso e chiaro. Onde i due rami sono al mondo nati, che vanno in alto, e son già tanto alzati, quanto raro altri rami unqua s'alzâro: rami che vanno ai grandi Scipi a paro, o s'altri fûr di lor mai più lodati (ben lo sanno i miei occhi fortunati, che per bearsi in un d'essi miraro), a te, tronco, a voi rami, sempre il cielo piova rugiada, sì che non v'offenda per avversa stagion caldo, né gelo. La chioma vostra e l'ombra s'apra e stenda verde per tutto; e d'onorato zelo odor, fior, frutti a tutt'Italia renda.
Altri mai foco, stral, prigione o nodo sì vivo e acuto, e sì aspra e sì stretto non arse, impiagò, tenne e strinse il petto, quanto 'l mì ardente, acuto, acerba e sodo. Né qual io moro e nasco, e peno e godo, mor'altra e nasce, e pena ed ha diletto, per fermo e vario e bello e crudo aspetto, che 'n voci e 'n carte spesso accuso e lodo. Né fûro ad altrui mai le gioie care, quanto è a me, quando mi doglio e sfaccio, mirando a le mie luci or fosche or chiare. Mi dorrà sol, se mi trarrà d'impaccio, fin che potrò e viver ed amare, lo stral e 'l foco e la prigione e 'l laccio.
Chi vuol conoscer, donne, il mio signore, miri un signor di vago e dolce aspetto, giovane d'anni e vecchio d'intelletto, imagin de la gloria e del valore: di pelo biondo, e di vivo colore, di persona alta e spazioso petto, e finalmente in ogni opra perfetto, fuor ch'un poco (oimè lassa! ) empio in amore. E chi vuol poi conoscer me, rimiri una donna in effetti ed in sembiante imagin de la morte e dè martiri, un albergo di fé salda e costante, una, che, perché pianga, arda e sospiri, non fa pietoso il suo crudel amante.
Dura è la stella mia, maggior durezza è quella del mio conte: egli mi fugge, ì seguo lui; altri per me si strugge, ì non posso mirar altra bellezza. Odio chi m'ama, ed amo chi mi sprezza: verso chi m'è umìle il mio cor rugge, e son umìl con chi mia speme adugge; a così stranio cibo ho l'alma avezza. Egli ognor dà cagione a novo sdegno, essi mi cercan dar conforto e pace; ì lasso questi, ed a quell'un m'attegno. Così ne la tua scola, Amor, si face sempre il contrario di quel ch'egli è degno: l'umìl si sprezza, e l'empio si compiace.
Se così come sono abietta e vile donna, posso portar sì alto foco, perché non debbo aver almeno un poco di ritraggerlo al mondo e vena e stile? S'Amor con novo, insolito focile, ov'io non potea gir, m'alzò a tal loco, perché non può non con usato gioco far la pena e la penna in me simìle? E, se non può per forza di natura, puollo almen per miracolo, che spesso vince, trapassa e rompe ogni misura. Come ciò sia non posso dir espresso; io provo ben che per mia gran ventura mi sento il cor di novo stile impresso.
Voi, ch'ascoltate in queste meste rime, in questi mesti, in questi oscuri accenti il suon degli amorosi miei lamenti e de le pene mie tra l'altre prime, ove fia chi valor apprezzi e stime, gloria, non che perdon, dè miei lamenti spero trovar fra le ben nate genti, poi che la lor cagione è sì sublime. E spero ancor che debba dir qualcuna: - Felicissima lei, da che sostenne per sì chiara cagion danno sì chiaro! Deh, perché tant'amor, tanta fortuna per sì nobil signor a me non venne, ch'anch'io n'andrei con tanta donna a paro?