La terra canta dolce di tramonto, in estasi di cielo l'orizzonte apre l'uscio a misura di pennelli a parole pacate dietro i monti, e di silenzio abbevera le valli, sospeso alla magia della campagna m'infittisco di alberi, tra fronde si leva a curiosare qualche guizzo di sole calmo, ed è poesia di trilli. In lontananza fermo di lavoro raggomitola il giorno il contadino sulla terra sdraiata mescolando i passi stanchi all'imbrunire e l'oro... e lascia qualche brivido che passa.
Caro amico Abbiamo sognato insieme l'ultimo tratto ha concluso il cerchio che ha stretto il tempo col suo raggio chiuso fra due cifre nello spazio fermo della stele. Il mio sguardo che ti ha seguito lungo il rettilineo per qualche passo indietro ti ha perduto... Anch'io sono diretto a quella curva dove il sonno che dorme trasparisce l'eco dell'orme cui gli parlo muto.
Il cenone saluta l'anno vecchio, seguono fuochi d'artificio, brindisi, abbracci, pazza gioia... l'alba di domani luce di un'alba nata più vecchia del tramonto mette nel cuore l'onda di seppellire il tutto. Gli spiragli del cuore sono aperti, come un bambino coi capelli bianchi il nuovo anno curvo sulla culla schiude gli occhi e prende all'anno vecchio il fardello di sogni, che tendono a sfiorire in mezzo al gelo di queste imprevedibili stagioni.
Natale ha un pensiero stupendo si veste di luci e di pace, il tono più dolce sono i bambini che vengono avvolti dall'onda di canti e di colori dove tutti si tengono per mano in un festoso girotondo poiché gesù bambino è uno di loro ma il senso che oscilla col peso che sale alle stelle e infime punte di fame ostenta nei cuori più forte della gioia il dislivello.
Trovai un fiore bello stava crescendo all'ombra di cespugli, c'erano spine intorno, m'insanguinai le mani per afferrarlo si strappò lo stelo... vidi appassire petali soltanto mi rimasero i resti e il rimpianto.
Natale si spande sui vetri delle finestre coi bigliettini accesi di parole... Le vie del centro inseguono disegni di luci, partono dal duomo corrono, ciascun motivo uguale lungo l'itinerario, di tanto in tanto un mendico seduto su lastrico gelato tende la mano fuori dagli stracci ai passi indifferenti, musica pacata di Natale sfiora la pelle, rivive il tempo della mangiatoia di Betlemme il mercatino acceso, le bancarelle sembrano presepi colmi di doni.
Tra le marmoree solitarie siepi dove il colore del tempo si perde tentenna il sol dai cipressi ventosi guizzi di vago novembrino ardire marcia il corteo di velati volti sfogliando riti, calpestio di passi grava come il colore dell'addio.
O come corre questo treno fermo coi finestrini aperti alla campagna tende la mano l'albero di sogni dolci pendenti carico maturi, sfioran le dita quello di rimpianti, foglie ingiallite, sterili pensieri.
La terra pia che ci raccoglie, cruda inghiotte questo sacro appuntamento, non la placano né fiori recisi e nemmeno il dolore, sepoltura come un blocco di marmo s'addolcisce allo scalpello di chi accende un fiore
un ponte che congiunge le due rive, la scala dove sale una preghiera.
L'aria sospesa alle pendici vive il sacro dominio della vetta che si scontra col cielo come un'esplosione di silenzio... un silenzio selvaggio in cui s'immerge lo scalatore che vince il peso dell'arrampicata, un silenzio non contaminato cui soltanto il vento può parlare, un silenzio che scuote la valanga, impervio di strapiombi, rotto dalle voci di cordate, scalza crudele lo sfidante ignoto, un silenzio gigante che parla alle scarpate, come ali di aquila si scioglie dalle balze nevose sugli abissi... si fonde con l'etere sereno la conchiglia di sole del tramonto nell'immortale estasi di un bacio... chiudi gli occhi incapaci, accogli il tutto senza aspettare volontà di assetti... questo sentimento di altitudine disponi in versi, nasce una poesia dei monti.
Cara luna intensamente sveglia tacita fissi oppur giocosa ridi, come pupilla sei vaga severa attenta... leggi a ciascun negli occhi i suoi segreti e scrivi sugli sguardi il tuo pensiero.