10 anni gli occhi venduti tra lo squittire della cambusa e come mozzo il tuo aguzzino e come mozzo il nostro silenzio "capitale" Etireno vapore di (dis)umana vergogna per i tuoi pirati mercanti che scaricano il respiro virgulto come carne da vermi per la bilancia pingue della puttana opulenza 9 anni le pupille staccate dal corpo piovono a terra immobili come salme nell'olio della sala macchine ghiacciati dalla lama di un futuro di strade a lampione Etireno vapore di (dis)umana vergogna per i tuoi negrieri e il nostro silenzio "capitale" 11 anni occhi di petrolio 500 franchi di vita la morte con la bava della fame sulla piroga e il nostro silenzio "capitale"
Dentro il vetro del bicchiere mamma le onde delle vene hanno ancora il sapore dei tuoi vent'anni i lividi sembrano scomparsi mentre bevi questo fottuto goccio di vita e ti perdi nell'illusione del veleno. Torni la piccola principessa col mondo tra le unghie e il futuro nelle labbra di un poeta. È il vetro scheggiato mamma che ti plana nell'inferno e tremi come fumo di sigaretta mentre racconti sempre la stessa storia con la passione del tuo fiato spento ferita dal rantolo di un singhiozzo. Dentro il vetro del bicchiere mamma brucio la fiducia che tutto abbia un senso.
Sono apparsi tutti i personaggi del mio povero proscenio con superbia tracciano l'ultimo scorcio di via custodi del provino di chissà quali comparse o supponenti primiattori. Io sono l'edificio cementato dalla loro presenza quasi come forme sull'orlo del tempo madri presenti. Li sento nella circolazione sanguigna dei muscoli col tonante fragore dell'assoluto. Operai instancabili dei pensieri fragili medici della filosofia quotidiana. Mattatori che si alzano dall'obitorio della notte raccontano vecchie storie sempre le stesse con lo stesso viso di allora e lo stesso suono della laringe il monologo della vita.
L'orizzonte tra le fusa di un aquilone che si sposta nelle onde del vento sul ciglio di un mondo deserto gli occhi fissi al barlume di un cielo muto senza risposte: ad ogni pensiero ceruleo o nelle liti tempestose carcerato nel singhiozzo del reale. Ora solo un campanaccio di ritorno dall'alpeggio mi cinge con vigore alla parata della vita.
Nella simbiosi dei mille colori dell'epidermide negli stessi deboli neuroni la rivoluzione nella scuola per l'unico fine: l'emancipazione e la scure al cervello della scuola delle differenze la rivoluzione a bersaglio del dogma ma nel centro libero della comune umana la rivoluzione nella ricchezza di tutte le voci e nei generi scrollati dal potere del dominio la rivoluzione l'orizzonte della dissoluzione dell'afflato padrone e il naufragio cosciente dell'individuo solo la rivoluzione l'economia del destino dialettico che si esaurisce nella rivoluzione.
Lettera da te Sono stanco mi scrivi sono stanco della notte delle streghe dello sguardo sempre uguale sul mio culo da lebbroso mi scrivi è difficile sai terribilmente difficile prendere la responsabilità di essere frocio sono stanco delle omelie delle tonache con gli scarponi chiodati. Che senso di nausea di schifo mi scrivi baciarmi nel buio come un assassino sfiorare l'amore nella prigione del silenzio rubare la felicità dietro i vetri nascosto dal mondo "normale" e fuori solo dita puntate parole di veleno sulle mie cosce aperte come una puttana sono stanco mi scrivi non combatto più "l'inferno sono gli altri"
La Tregua L'occhio non vede dove il cuore incespica e il palpito incolore s'incaglia sui binari dell'indifferenza.
La memoria si è affievolita imbarbarita e sola posta sull'altare del buio.
Sono segni da restituire per la pianta assetata dell'uomo per i figli orfani della storia.
** il titolo è tratto dall'opera di Primo Levi "La Tregua". Molte volte il nostro piccolo occhio e il nostro cuore dimentica la sofferenza dell'umanità, tutto viene revisionato, anche il nostro ricordo.
Favelas In questo bosco di nullità dove il semplice calore dell'alito cancella i segni del tempo dove la palude confina col cielo e come birilli le piccole vite per gli squadroni sorge nella pece uno scampolo di vita. Sono margini d'esistenza a cavalcioni sull'inferno e all'orizzonte piedi nudi su vetri appuntiti. Copri di fango i loro occhi frigidi dal freddo perché la sabbia di Rio si vende a chi trova un altro Brasile.
Don't cry Argentina Don't cry Argentina sui tuoi aerei pieni di urla sopra corpi scaraventati nel mare dal cielo con i tuoi scarponi militari don't cry Argentina con la coppa del mondo innalzata dai sorrisi assassini dei tuoi Videla don't cry Argentina sullo sguardo delle madri intorno a piazza Major con gli occhi di corpi straziati le unghie e la lingua recise della libertà dont'cry Argentina sulla notte omicida della tua storia.
Figli di una generazione Uomini della continua lotta camminano nel fumo e nella nebbia arrampicati sulle schegge dei muri. Le canne grigie puntate sui pensieri e le marce come cordoni ombelicali per servire il popolo. Le mani si stringono le tempie riempiono i polmoni di rabbia serpeggia la morte nel volo delle bottiglie. Si diffonde la luce della comune si divulga con sigarette e mozziconi brulicanti ogni parola ha la forza di un proiettile. Nessun suono spara abbastanza per la sordità del tempo e questo tempo non risparmia i sogni non coltiva martiri e seppellisce gli eroi. La propaganda delle risposte imbavagliate con i pugni allo stomaco ribelle e il vomito dell'odio e del dileggio. Figli di una generazione canti rubati per niente e troppi silenzi nelle bare mute.
** riflessione di un estremista degli "anni di piombo"