L'oscurità va a tentoni, abbassa le dita sul dorso della mano: sono qui. Tiro via la mano. Se tu morissi: oserei toccarti. Se solo tu zoppicassi via per il corridoio sempre più lontano, ti rimpiccioliresti finché non ti riconoscerei più, in me saresti avvinta.
A cosa serve indugiare, rimanere dietro la tendina che si annerisce, guardare il miraggio in faccia, quando la malforme primavera fa scorrere la sua sciabica nell'isolato dei single: un balenio di nafta nel cervello, il ventilatore sfiletta il fumo, e nel nido di un palchetto sul retro gracchia una vecchia comédienne.
Già il tuo profumo mi ferì. Quando ti scottasti le dita, sentii un bruciore in mano. Ma il periodo di grazia è passato, è tempo, finalmente, che finisca ciò che un tempo era eterno: l'accendino fiammeggia, tira via il miraggio dal volto, batto il pugno sul gioco, distruggo un'altra nave aliena.
Quando il chiurlo gorgheggia, non so dove sia. Profumo di sapone sulla pelle, di prato: ora le parole acquistano quasi significato. Chi leggerà questo, un giorno? Sai dove sono, come ti capisco?
C'è un assassino nell'armadio? Sbucherà fuori se chiudi gli occhi?
Chi c'è dietro la sinningia? Un vampiro? È un ladro a cavalcioni del cavallo a dondolo, brandisce forse una sciabola di sanseveria?
Pieghe di tenebre piene di millepiedi
e sono io, ti avvicini di soppiatto tanto che sento il tremitio Vitale realizzarsi in te
quando ti spaventi per i suoni della notte, i gemiti del vento, la strega nella sua cappa in brandelli che digrigna una risata, ti getta sulla faccia larve, ragnatele, ti strappa di dosso il pigiama con dita di fucsia.
Hai visto la civetta prima che il tuo sguardo l'ha stropicciata via?
Cominci a capire: le voci provengono da sotto i tuoi piedi, dalla stoffa del pigiama quando respiri, sei tu a dar loro vita.
Dalle loro radici vorrebbero sollevarsi le felci, l'urogallo, il liruro, la mortella dalla palude, le acque del ruscello, le acque del ruscello nell'aria bruire vorrebbero, quando gli stivali neri vagano sul tappeto variopinto d'autunno della stanza: sacrificheresti un frammento dell'argento del tuo specchio, lo fonderesti in proiettile? Fenderesti col tuo proiettile la sorgente senza fondo del cuore? La Sposa del lupo la si può uccidere solo con un proiettile d'argento che spacca il cuore: nello specchio del cacciatore però rimarrà anche la traccia del proiettile.
La lepre è enorme, le nubi piccole. La notte luminosa profuma già di code di topo, trifoglio, l'eco veglia, dondola la tua voce da un margine all'altro dell'abetaia: vuoi carezzare il gattino della betulla. Ti sollevo un po'? Abbasso il ramo? No, protesa, ti allunghi da sola.