Meno facile di quanto previsto
dissimulare agnizioni reciproche,
od un'inappartenenza comune;
lasciare che la crepa – iato o cuneo –
s'insinui, invigilate scaturigini
qui presso noi immorare, grevi alibi.
O immaginarti in questo vento, il tuo
paese – case rosse sotto un cielo
grigio – ed il mare, all'orizzonte termine;
e tangenze e infiniti voli tessere
l'ordito a consumate traiettorie,
sghembe rette per asseverative
coordinate – una stilla d'angoscia –
tuoi pensieri transeunti. E scoprirsi
distanti. Separati. Una passione
ci avvince; uguali espressioni latenti
(non era forse nella tua venuta
la mia salvezza?) lontani ribattono
strabi cigli. Ragnatela magnetica
i tuoi capelli: spengeva l'afrore
delle fole, che fra nebbia affoltantesi
e davanzale gli ambrati tramonti
schiarivano di settembre. Malcauto
autunno e il cedro decombente
nella sua solitudine ricurvo:
sigillarne il trapasso leonina
una rima: "ridacci, brezza, eterni
quegli istanti...." Ridursi ad astante, unico,
come allora, ora, il vuoto.
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