Poetessa, saggista e traduttrice, premio nobel alla letteratura 1996, nato lunedì 2 luglio 1923 a Kórnik (Polonia), morto mercoledì 1 febbraio 2012 a Cracovia (Polonia)
Ora dalla notte al giorno. Ora da un fianco all'altro. Ora per trentenni.
Ora rassettata per il canto dei galli. Ora in cui la terra ci rinnega. Ora in cui il vento soffia dalle stelle spente. Ora del chissà-se-resterà-qualcosa-di-noi.
Ora vuota. Sorda, vana.
Fondo di ogni altra ora.
Nessuno sta bene alle quattro del mattino. Se le formiche stanno bene alle quattro del mattino - le nostre congratulazioni. E che arrivino le cinque, se dobbiamo vivere ancora.
Donna, come ti chiami? - Non lo so. Quando sei nata, da dove vieni? - Non lo so. Perché ti sei scavata una tana sottoterra? - Non lo so. Da quando ti nascondi qui? - Non lo so. Perché mi hai morso la mano? - Non lo so. Sai che non ti faremo del male? - Non lo so. Da che parte stai? - Non lo so. Ora c'è la guerra, devi scegliere. - Non lo so. Il tuo villaggio esiste ancora? - Non lo so. Questi sono i tuoi figli? - Sì.
Preferisco il cinema. Preferisco i gatti. Preferisco le querce sul fiume Warta. Preferisco Dickens a Dostoevskij. Preferisco me che vuol bene alla gente a me che ama l'umanità. Preferisco avere sottomano ago e filo. Preferisco il colore verde. Preferisco non affermare che l'intelletto ha la colpa di tutto. Preferisco le eccezioni. Preferisco uscire prima. Preferisco parlare con i medici d'altro. Preferisco le vecchie illustrazione a tratteggio. Preferisco il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverne. Preferisco in amore gli anniversari non tondi, da festeggiare ogni giorno. Preferisco i moralisti che non mi promettono nulla. Preferisco una bontà avveduta a una credulona. Preferisco la terra in borghese. Preferisco i paesi conquistati a quelli conquistatori. Preferisco avere delle riserve. Preferisco l'inferno del caos all'inferno dell'ordine. Preferisco le favole dei Grimm alle prime pagine. Preferisco foglie senza fiori a fiori senza foglie. Preferisco i cani con la coda non tagliata. Preferisco gli occhi chiari, perché li ho scuri. Preferisco i cassetti. Preferisco molte cose che qui non ho menzionato a molte pure qui non menzionate. Preferisco gli zeri alla rinfusa che non allineati in una cifra. Preferisco il tempo degli insetti a quello siderale. Preferisco toccare ferro. Preferisco non chiedere per quanto ancora e quando. Preferisco prendere in considerazione perfino la possibilità che l'essere abbia una sua ragione.
In libreria con l'opera di Proust non ti danno un telecomando, non puoi cambiare sulla partita di calcio o sul telequiz con in premio una Volvo.
Viviamo più a lungo, ma con minor esattezza e con frasi più brevi.
Viaggiamo più veloci, più spesso, più lontano e torniamo con foto invece di ricordi. Qui sono io con uno. Là, credo, è il mio ex. Qui sono tutti nudi, quindi di certo in spiaggia.
Sette volumi - pietà. Non si potrebbe riassumerli, abbreviarli o meglio ancora mostrarli in immagini? Una volta hanno trasmesso un serial, La bambola, ma per mia cognata è di un altro che inizia con la P.
E poi tra parentesi, chi mai era costui. Scriveva, dicono, a letto, per interi anni. Un foglio dopo l'altro, a velocità ridotta. Noi invece andiamo in quinta e - toccando ferro - stiamo bene.
Sono entrambi convinti che un sentimento improvviso li unì. È bella una tale certezza ma l'incertezza è più bella.
Non conoscendosi prima, credono che non sia mai successo nulla fra loro. Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi dove da tempo potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro se non ricordano - una volta un faccia a faccia forse in una porta girevole? Uno "scusi" nella ressa? Un "ha sbagliato numero" nella cornetta? - ma conosco la risposta. No, non ricordano.
Li stupirebbe molto sapere che già da parecchio il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto a mutarsi per loro in destino, li avvicinava, li allontanava, gli tagliava la strada e soffocando un risolino si scansava con un salto.
Vi furono segni, segnali, che importa se indecifrabili. Forse tre anni fa o il martedì scorso una fogliolina volò via da una spalla all'altra? Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto. Chissà, era forse la palla tra i cespugli dell'infanzia?
Vi furono maniglie e campanelli in cui anzitempo un tocco si posava sopra un tocco. Valigie accostate nel deposito bagagli. Una notte, forse, lo stesso sogno, subito confuso al risveglio.
Ogni inizio infatti è solo un seguito e il libro degli eventi è sempre aperto a metà.
Perché mai a tal punto singolare? Questa e non quella? E qui che ci sto a fare? Di martedì? In una casa e non nel nido? Pelle e non squame? Non foglia, ma viso? Perché di persona una volta soltanto? E sulla terra? Con una stella accanto? Dopo tante ere di non presenza? Per tutti i tempi e tutti gli ioni? Per i vibrioni e le costellazioni? E proprio adesso? Fino all'essenza? Sola da me e con me? Perché mi chiedo, non a lato, né a miglia di distanza, non ieri, né cent'anni addietro, siedo e guardo un angolo buio della stanza come, rizzato il capo, sta a guardare la cosa ringhiante che chiamano cane?
Guardate com'è sempre efficiente, come si mantiene in forma nel nostro secolo l'odio. Con quanta facilità supera gli ostacoli. Come gli è facile avventarsi, agguantare.
Non è come gli altri sentimenti. Insieme più vecchio e più giovane di loro. Da solo genera le cause che lo fanno nascere. Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno. L'insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.
Religione o non religione - purché ci si inginocchi per il via. Patria o no - purché si scatti alla partenza. Anche la giustizia va bene all'inizio. Poi corre tutto solo. L'odio. L'odio. Una smorfia di estasi amorosa gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti - malaticci e fiacchi. Da quando la fratellanza può contare sulle folle? La compassione è mai giunta prima al traguardo? Il dubbio quanti volenterosi trascina? Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso. Occorre dire quanti canzoni ha composto? Quante pagine ha scritto nei libri di storia? Quanti tappeti umani ha disteso su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verità: sa creare bellezza. Splendidi i suoi bagliori nella notte nera. Magnifiche le nubi degli scoppi nell'alba rosata. Innegabile è il pathos delle rovine e l'umorismo grasso della colonna che vigorosa le sovrasta.
è un maestro del contrasto tra fracasso e silenzio, tra sangue rosso e neve bianca. E soprattutto non lo annoia mai il motivo del lindo carnefice sopra la vittima insozzata.
In ogni istante è pronto a nuovi compiti. Se deve aspettare, aspetterà. Lo dicono cieco. Cieco? Ha la vista acuta del cecchino e guarda risoluto al futuro - lui solo.
Una vita all'istante. Spettacolo senza prove. Corpo senza modifiche. Testa senza riflessione.
Non conosco la parte che recito. So solo che è la mia, non mutabile.
Il soggetto della pièce va indovinato direttamente in scena.
Mal preparata all'onore di vivere, reggo a fatica il ritmo imposto dell'azione. Improvviso, benché detesti improvvisare. Inciampo a ogni passo nella mia ignoranza. Il mio modo di fare sa di provinciale. I miei istinti hanno del dilettante. L'agitazione, che mi scusa, tanto più mi umilia. Sento come crudeli le attenuanti.
Parole e impulsi non revocabili, stelle non calcolate, il carattere come un capotto abbandonato in corsa - ecco gli esiti penosi di tale fulmineità.
Poter provare prima, almeno un mercoledì, o replicare ancora una volta, almeno un giovedì! Ma qui già sopraggiunge il venerdì con un copione che non conosco. Mi chiedo se sia giusto (con voce rauca, perché neanche l'ho potuta schiarire tra le quinte).
Illusorio pensare che sia solo un esame superficiale, fatto in un locale provvisorio. No.
Sto sulla scena e vedo quant'è solida. Mi colpisce la precisione di ogni attrezzo. Il girevole è già in funzione da tempo. Anche le nebulose più lontane sono state accese. Oh, non ho dubbi che questa sia la prima. E qualunque cosa io faccia, si muterà per sempre in ciò che ho fatto.