Morte di una madre africana
Lo sguardo smunto e senza pace
sul frutto tuo che al seno allatti,
nutrice non più gravida di linfa
sull'arsa terra che conduce a morte.
Palme chiare scavate dagli stenti,
denti in fuori a mordere la rabbia,
rami secchi agli angoli degli occhi
e un velo d'innocenza che riluce
dal breve gocciolar che bagna il viso.
Nostalgie di fiumi e d'argini fecondi,
di noviluni spesi intorno ai sacri fuochi
quando l'eco delle danze e dei tamburi
vibrava forte nei visceri terreni
fin dentro la capanna ove cullavi,
al canto di guerrieri generosi,
i tuoi sogni primitivi di fanciulla.
Ricordi antichi di un'età svanita
nell'avida terra, tra l'aride pietre,
di gesta superbe non più cantate,
di nenie tribali divenute pianti,
di madri fiere dentro le capanne.
Ora solo i gemiti a riempir le foreste,
a vagar su gli altipiani e le radure,
in un mondo che non dà più voce
né terre su cui tracciare solchi
né piante di cui godere i frutti
né sogni, né memorie familiari.
Nubi polverose sui declivi
spinte dal vento secco di stagione
ove il respiro tuo s'impiglia
e annaspa tra i bagliori del tramonto.
La pelle cede e ha un ultimo sussulto
al labbro ritmato del tuo frutto
che succhia dai tuoi seni inariditi
la speme d'un futuro cancellato.
E allora volgi il guardo tuo morente
sui campi un tempo sazi di manioca
ove l'immago tua rivedi ancora
tra le braccia vigorose dei tuoi avi...
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