Beltà e grazia han arriso alla tua forgia
Beltà e grazia han arriso alla tua forgia,
di maestria si son plasmate nell'imprimer il lor marchio;
quant'è stata real veemenza, nel desiderar di far, di te,
creatura alata, ineguagliabile esemplare, mai esistito tale?
Grata, alquanto, al mio etereo arrancar là, fin dove arriva il sogno,
in un cielo ch'ha dismesso il velo nero,
scippato del colore buio dell'ombra,
dall'estasiante aurora, giungente a rischiarar l'intorno.
Nell'atto di posar i piedi s'una nube accumulata,
mi costringo all'esilio e al diniego del risveglio,
acciocché stare nel sonno, a favorir lo spazio che ricerco.
Cavalcar su di te, oh mirabile destriero,
carezzar il corno tuo, che ha sapor di sortilegio,
com'eretto a corona sorprendente, sul tuo capo;
aggrapparmi a soave morbidezza del tuo lungo crine biondo,
del color che copia il sole, risplendente, or or, da Oriente,
all'intender non cadere nell'accedere alle stelle.
Febbril desio sfrenato e inappagato di mistero impenitente,
ardor di fuggir via da ciò che è vero,
all'uopo d'inchinarsi alla malia dell'irreale, del fatato.
Che non abbia, il bagliore che traspare,
ad infrangere e dissolver l'illusorio istante ch'io sto vivendo.
Ch'abbia, tutto questo, un real senso.
Ch'il mattin, testè parvente, si faccia sì silente,
per proteggere l'essenza del mio mondo così strano,
suggestivo e alternativo, trasudante fascino infinito e raro,
esternato da mente ch'osa scindere chiusure perentorie,
nell'esular dal certo preesistente e deprimente, invero,
per optar l'incerto, di cui l'intento è di scoprir l'arcano,
immergendomici dentro, fin'a divenir parte integrante dello stesso.
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