Si sono smunti i colori e s'è placata la mareggiata alle porte dell'anima che m'è rimasta bagnata dall'ultime piogge di pianti m'è morto il vento e con questo il fiato e dei polmoni che facevano da remi è restato legno scardinato gonfio d'umidità e di muffa di certi mesti ricordi a rievocare l'azzurro di cielomare.
Non ho mai capito chi di noi due abbia amato di più, se io te o tu me, so di averti guardato sempre come a una stella che batte la luce nella cupola notturna del cielo, e so di averti in cuor mio amata a tal punto che quasi a te somiglio come una rosa è simile a un'altra, come la goccia cadendo e gemella all'acqua. Racchiuso in quest'inverno e prigioniero alla tua rete mentre la luna cantava con la voce delle madri della terra, tutti questi anni mi sentii soffocare da un amore troppo grande, e udii l'anima vibrare.
Un tempo il tuo amore forgiato nel grembo partorì il suo frutto nelle gioia e nell'affanno, dalle albe andate che ne fanno più rosso il sangue nelle epoche, col sacrificio le mani più dure delle armi, sempre penetrante nella scorza della carne, negli abissi dell'anima la tua presenza, sino a a far saltare l'identicità al proprio figlio, il legame antico, l'urlo del tuo amore immortale.
O immensità di un prato, così come un milione di rose fluttuanti nel vento di una dea o visto il tuo volto scintillare madre mia nelle specchio del mio cuore, nelle foglie della mia anima solitaria, e dentro il petto di nutrice bisbigliare parole care come schegge di sole al mare, come semi nella terra stracolma nell'ultima pioggia autunnale. Cade la sera, ed io dal mio profondo venire al tuo sguardo antico di bella cometa, canto al cigno un bianco verso notturno, canto senza più esitare di averti amato di più, o Madre.
Dedicata a mia madre, Amaddio Antonia, alba e tramonto di tutte le mie giornate con amore infinito e gioia filiale.