Poesie preferite da Antonio Prencipe

Questo utente ha frasi preferite anche in Frasi & Aforismi e in Racconti.

Lascio a te queste impronte sulla terra
tenere dolci, che si possa dire:
qui è passata una gemma o una tempesta,
una donna che avida di dire
disse cose notturne e delicate,
una donna che non fu mai amata.
Qui passò forse una furiosa bestia
avida sete che dette tempesta
alla terra, a ogni clima, al firmamento,
ma qui passò soltanto il mio tormento.
Vota la poesia: Commenta

    Il mio passato

    Spesso ripeto sottovoce
    che si deve vivere di ricordi solo
    quando mi sono rimasti pochi giorni.
    Quello che è passato
    è come se non ci fosse mai stato.
    Il passato è un laccio che
    stringe la gola alla mia mente
    e toglie energie per affrontare il mio presente.
    Il passato è solo fumo
    di chi non ha vissuto.
    Quello che ho già visto
    non conta più niente.
    Il passato ed il futuro
    non sono realtà ma solo effimere illusioni.
    Devo liberarmi del tempo
    e vivere il presente giacché non esiste altro tempo
    che questo meraviglioso istante.
    Vota la poesia: Commenta

      Che te ne fai d'un titolo?

      Non ce la fanno i belli muoiono tra le fiamme:
      sonniferi, veleno per i topi, corda, qualunque cosa...
      Si strappano le braccia, si buttano dalla finestra, si cavano gli occhi dalle orbite, respingono l'amore
      respingono l'odio respingono, respingono.
      Non ce la fanno i belli non resistono, sono le farfalle, sono le colombe, sono i passeri, non ce la fanno.
      Una lunga fiammata mentre i vecchi giocano a dama nel parco.
      Una fiammata, una bella fiammata mentre i vecchi giocano a dama nel parco, al sole.
      I belli si trovano all'angolo di una stanza
      accartocciati tra ragni e siringhe, nel silenzio, e non sapremo mai perché se ne sono andati, erano tanto
      belli.
      Non ce la fanno i belli muoiono giovani e lasciano i brutti alla loro brutta vita.
      Amabili e vivaci: vita e suicidio e morte mentre i vecchi giocano a dama sotto il sole nel parco.
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Franco Mastroianni

        Ingarbugliato nei miei fili

        Riaffiora a volte giovinezza un po' sbandata,
        ne porto dentro i segni come righe sull'asfalto
        dopo brusca frenata, non son mai stato un fante ne
        un'arcière ma... ero un'abile moschettiere,
        quand'ero per la strada sapevo usar la spada
        con la lucidità di folle burattino scaldavo con la
        fiamma il cucchiaino, senza pensarci troppo
        accompagnato da frenetica impazienza
        scioglievo l'eroina con magica sapienza, mettendo via
        problemi pene sparavo tutto quanto nelle vene, un attimo soltanto e poi il primo spasmo, non esisteva
        altro, meglio di qualsiasi orgasmo.
        Inconsapevole del cinico potere fratello delle
        differenze, il prezzo da pagare le assurde conseguenze
        delle amicizie false le prepotenze,
        d'ipocrisie già innate falsificando firme
        nel libro delle assenze
        di amori e sogni chiusi in un cassetto,
        sfuggenti sguardi in odor di sala d'aspetto.
        Amori fatti in fretta amori calcolati,
        tenendo le siringhe pronte ai lati
        troppe le volte che son rimasto solo
        troppe volte sono inciampato prima di spiccare il volo.
        Ti guardi nello specchio e non ti vedi, non sai nemmeno in chi o a cosa credi, e gelide lenzuola
        coprivano a fatica i piedi, candele stanche di crear giochi di luce animavano le pareti spoglie, di
        sagome sottili.
        Mi sono visto molte volte in mezzo a quelle sagome sottili ero... come un burattino ingarbugliato nei miei fili.
        Poi ho incontrato te mia dolce amica, e con dolcezza
        mi hai tolto l'ago dalle dita, i raggi del tuo cuore
        hanno riacceso in me la gioia in uno splendido mattino
        ora è solo un ricordo il burattino, è stata dura è costata sofferenza, ma sono qui son vivo.
        Adesso è l'emozione la mia essenza.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Elisabetta

          La pioggia nel pineto

          Taci. Su le soglie
          del bosco non odo
          parole che dici
          umane; ma odo
          parole più nuove
          che parlano gocciole e foglie
          lontane.

          Ascolta. Piove
          dalle nuvole sparse.
          Piove su le tamerici
          salmastre ed arse,
          piove sui pini
          scagliosi ed irti,
          piove su i mirti
          divini,
          su le ginestre fulgenti
          di fiori accolti,
          su i ginepri folti
          di coccole aulenti,
          piove su i nostri volti
          silvani,
          piove su le nostre mani
          ignude,
          su i nostri vestimenti
          leggeri,
          su i freschi pensieri
          che l'anima schiude

          novella,
          su la favola bella
          che ieri
          t'illuse, che oggi m'illude,
          o Ermione.

          Odi? La pioggia cade
          su la solitaria
          verdura
          con un crepitio che dura
          e varia nell'aria secondo le fronde
          più rade, men rade.

          Ascolta. Risponde
          al pianto il canto
          delle cicale
          che il pianto australe
          non impaura,
          né il ciel cinerino.

          E il pino
          ha un suono, e il mirto
          altro suono, e il ginepro
          altro ancora, stromenti
          diversi
          sotto innumerevoli dita.

          E immersi
          noi siam nello spirito
          silvestre,
          d'arborea vita viventi;
          e il tuo volto ebro
          è molle di pioggia
          come una foglia,
          e le tue chiome
          auliscono come
          le chiare ginestre,
          o creatura terrestre
          che hai nome
          Ermione.

          Ascolta, Ascolta. L'accordo
          delle aeree cicale
          a poco a poco
          più sordo
          si fa sotto il pianto
          che cresce;
          ma un canto vi si mesce
          più roco
          che di laggiù sale,
          dall'umida ombra remota.

          Più sordo e più fioco
          s'allenta, si spegne.
          Sola una nota
          ancor trema, si spegne,
          risorge, trema, si spegne.
          Non s'ode voce del mare.
          Or s'ode su tutta la fronda
          crosciare
          l'argentea pioggia
          che monda,
          il croscio che varia
          secondo la fronda
          più folta, men folta.

          Ascolta.
          La figlia dell'aria
          è muta: ma la figlia
          del limo lontana,
          la rana,
          canta nell'ombra più fonda,
          chi sa dove, chi sa dove!
          E piove su le tue ciglia,
          Ermione.

          Piove su le tue ciglia nere
          sì che par tu pianga
          ma di piacere; non bianca
          ma quasi fatta virente,
          par da scorza tu esca.
          E tutta la vita è in noi fresca
          aulente,
          il cuor nel petto è come pesca
          intatta,
          tra le palpebre gli occhi
          son come polle tra l'erbe,
          i denti negli alveoli
          son come mandorle acerbe.

          E andiam di fratta in fratta,
          or congiunti or disciolti
          (e il verde vigor rude
          ci allaccia i malleoli
          c'intrica i ginocchi)
          chi sa dove, chi sa dove!
          E piove su i nostri volti
          silvani,
          piove su le nostre mani
          ignude,
          su i nostri vestimenti
          leggeri,
          su i freschi pensieri
          che l'anima schiude
          novella,
          su la favola bella
          che ieri
          m'illuse, che oggi t'illude,
          o Ermione.
          Vota la poesia: Commenta