Or qui or là è letal frusciare di velenose labbra l'imbrattar reale ch'in traditrici menti il grembo serba e l'insolente perfidia innerva. Che davver pensi curati di nol rivelare ti può ei giugner indietro a detrimento che il privato in pubblico si può in un attimo mutare e daga divenir che fendè l tuo sentimento. Mai vi sarà niuna generazione in cui maladetti rettili non faccian delazione sol il tuo intelletto e la tua salda coscienza scongiurar posson che minin la tua esistenza.
Urla d'indiavolato ardor la tromba e ad afro primitivo suon abbeverasi soffian di spartiti demiurgiche intuizioni che la complice, alleata aere di fruscii sonori inesplorati frustan. Parlate, tasti, o qualor vi sia disio a ostentarvi irridenti imprendete sulle mammelle di note ricolme d'un piano mille volte violato ch'eppur sempre s'erge a basaltico altar. D'intarsi onirici l'orchestra sfavilla all'eccitarsi orgogliosa offresi del gelido melodiar qual del caliente arpeggio e schiava si estenua di ancestral ma sempre multiforme solfeggio. E la chitarra di leonin ruggito ondeggia alle festanti corde e al plettro ruvida sposa è l musicar nell'arcan suo rappreso d'ebbrezza accrescesi e mai più riposa.
Il ricomporsi di prische sorgenti indifferente eppur turbato odo atavico scorrimento di memorie che viaggiano su unghie che mai il tempo ebbe a scalfire. Spettatore giaccio impotente, dell'assassino gioco del rintanarsi d'un'inviolata violenza. Si snoda il labirinto di rame delle rimembranze nel velenoso perimetro d'un antico, maleodorante cortile, finché il rimpiattino fedele non s'avanzi, sgargiante, irridente metafora del celarsi all'inopportunità del vivere. Muta veste e pavoneggiandosi va l'improntitudine dell'osare fino a frontiere di seducente vastità del bellicoso dimenarsi incurante tra scogliere d'orfica impotenza. nulla urla con più studiata veemenza dell'ombra di un pensiero sempiternamente anestetizzato dalle carceri d'un irrazionale volere, che a stagliarsi s'imprende provocante sulle mura d'un obliato edonismo. Il domani s'incunea su volto eburneo cesellato in fenditure di inestirpabile miseria.
Ho pagato un riscatto alla vita, il ventre velenoso di silenzi demoni infilzando, nel nauseabondo nosocomio di inscalfibili tristezze. Rantolano odori acri d'incompiutezza Sui deformi ruscelli di ecchimosi pur fanciulle. Gemente odo Il nevroso ondeggiare dello scapestrato Agitarsi in faville di cancerogeno fango Che recondite furoreggiano In cellule prostrate All'incapacità di ricamare salutari oblii. Quando più non scorgerai Alla croce in cui credevi avvinte Le preghiere ch'il tuo abulico soffrire intarsiò Allor ti celerai diacronico Tra le siepi infuocate di parole impotenti e vane. Del rovistar t'avanzerà l'insano disio Tra gemmazioni di illusorie ripartenze D'un fiabesco stagliarsi ostaggio Tra cime di neve assonnata e distratta. Tacer non saprà né vorrà L'impronta dell'arcaico peregrinare Su cui le spoglie della fantasmica autorealizzazione Narcotizzate danzano e si estenuano.
Elevasi dell'ancestral orazion la flebil voce e a carezza or di gaudio or di lacrima s'avvince all'umil rivelarsi della lignea croce ove a troneggiar giace colui ch'ogne mal vince. Certo di quanto nel cor ha reale dimora sol quel Cristo v'è, che del tremebondo uomo la man afferra in guisa di metatemporal aurora. E aggirasi in estasi tra abbracci di navate l'alma tra i quai morbidi affreschi regnan rifulgenti ma anco polittici, mosaici e icone che d'arte e religion serban i sentimenti. E così librasi fuor del perimetro di Cronos ordinario dei dì lo scandirsi in cotesto santuario ove il luminescente sguardo della Vergine Maria fier e complice traccia all'uman destin la via.
Di ribelle esternar il mio tempo ho cosparso, a vetuste battaglie or fiero m'abbevero ch'a porta lucidata di morte il cor non bussi sia pur ingrigita speme serbo. quali sublimi pensier frusciano ancor nell'appesantito zaino d'ogni parola? qual gola data mi fu in pur mortal strenna perch'un racconto il tempo cavalcasse senza ch'esso disarcionar lo potesse? deserto per me non siate adunque poesia e prosa.
Lourdes carezzevole tappeto di preghiera che tenero si avvince alle braccia d'avorio della sera Lourdes il sorriso tenero dei barellieri che in una nuvola d'amore custodiscono i pensieri di vedere in chi accompagnano il bagliore di un sorriso in cui offresi la vita qual vero paradiso; Lourdes fiaccole timide che sorridono alle stelle Lourdes la sofferenza che si conficca nella pelle il viaggio che si porta la speranza sulle spalle Lourdes la dolce matita della vergine che disegna la sacralità di ogni resurrezione Lourdes scia gemente ma al contempo anche felice di gente a cuore unito in una processione; Lourdes è una canzone di angosce e di misteri Lourdes chiama a raccolta i sentimenti veri Lourdes è un sogno d'incenso che si annoda a mani oranti, Lourdes è la stella polare che ti fa guardare avanti; Lourdes è la fede salda di un cuore che scotta. di malati che piangono dinanzi a una grotta, Lourdes è il bene che sa svergognare il male, Lourdes è il tempo con un vestito speciale Lourdes è la Madonna che su un sentiero di rose Sola sa rivelarti il profondo senso delle cose. Lourdes è una conchiglia di candele che mette a nudo la realtà rendendola finalmente degna di chiamarsi amore e verità.
Rime tremanti ancor giacciono tra le coccole d'orfici frammenti di stelle che fuor un tempo demiurghe di ben contornate speranze ebbre. Or più non s'avverte il sublime canto ch'il possente albeggiar sorregge ritratto di inestirpabile esilio è l'ondeggiante e ramingo esistere. Nostalgia mi fiorisce d'ancestrali nenie quand'ogni cosa d'armonico fiorir profumava.