Pretendi parole, ma non chiedere la voce è abbandonata in un cassetto, pieno di ciarpame inutile, di consumato e iridescente brivido.
Tutto già detto, come all'interno di un prevedibile ripiego intuito, ormai, dal proseguire di un tuo gesto.
Voglio il colore che non pretende il suono e potessimo comprendere quel fremito elettrico che corre sotto la pelle la danza muta delle labbra, la goccia di sudore che scivola sul mento, un ondeggiare delizioso di ciglia e le tue mani come sinfonie avvolte, musicali, sul mio ventre.
Vorrei sapere amare come inatteso dono sorpresa imprevedibile di un'agonia trascorsa come amano l'alba gli amanti solitari come stornello antico, un mantra di luce.
Tempo di ombrato mutamento si spande il cielo di corallo acceso vento disteso che soffia polvere come scintille nel cielo d'ottobre mentre ingoio sogni perso nella mia anima smarrita.
Sepolcri già chiusi nei polsi avventato salpare di navi ormai la mia fronte si gela di pietra e goccia il rimpianto, non più menzognero. Sciogliti nuvola densa, oggi ho bisogno soltanto di un povero sogno tangibile e possa narrarlo ad un figlio. Solstizio d'estate questa malinconia, acido succo, tedio che pesa sugli occhi il bianco tuo ciglio si piega sommerso da questa realtà decifrata. Fuggi l'affanno, sii pace e non questo assurdo crepitare di ossa; risorgi e sorprendimi, nel breve rincorrere giorni ho bisogno di un sogno che possa squillare di gioia.
Il carogna pelle a tartaruga veste uno sguardo d’onice incastrato d’osso in vetta ad una pappagorgia appesa mastica un secco, triste mozzicone e incede quasi storpio a brevi balzi mentre strabuzza occhi da piccione dinoccolandosi di lesta intesa. Fresco pastrano addosso ruffiano anello d’occasione versa un bicchiere a mezzo pieno suggendo inappagate contentezze, arricciola le labbra da signora e intona querulo ballate antiche con ventre e voce di zampogna d’ocra. Liscia una barba d’esperienza spiccia e un riccio pelo senza più vergogna rosso d’inchiostro spento tinge un canovaccio di parole lercio d’immagini confuse e luminosi spasmi d’esistenza. La sera incombe, ghigna e porge il conto il carogna, ali di gufo, carezza colorate piume e goffamente vola nel pozzo verticale di un tramonto.
Amami senza ritegno come parola indecente e bisbigliata come cosa morta raccolta da terra. Amami come si ama l'inevitato o un ultimo respiro, senza chiederne ragione senza consolazione.
Amami come i pazzi folli d'amore non con la saggezza antica di chi conserva inverni e guarigioni ma come gli uragani che violentano la terra. Disperdimi come sale e neve voglio sdrucire l'anima nel meridione dei tuoi occhi viola perciò amami quando sono aquila lontana quando carezzo le nuvole quando sono seme di terra rorida quando sono inverno.
Amami, non essere ombra diafana diventa il mio tutto il mio capolavoro.