Cade la neve lentamente ritorna primavera; alto il sole arroventa l'aria ricresce l'erba cadono le foglie, novembre torna grigio il tempo si dissolve.
Un fiore in bocca rosso mi consuma, mastico amaro. Un pensiero antico mi arrovella schiodo il tarlo, lo chiudo stretto in pugno e gli sussurro: "A chi giova la vita appesa al filo della morta speranza"? – La vita è dono! –
Se Dio comanda Cristo rimase in croce un solo giorno, anch'io risorgerò vicino a Dio.
"Maddalena sorella assassina – insinua il tarlo – non bere la cicuta, si tocchi Caina".
All'alba nell'orto degli ulivi il gallo "conta" centocinquanta gallina troppo vecchia niente uovo.
In alto Resegone giù tre monti: Vesuvio Gran Sasso Aspromonte l'escort... i nomi "Caduti per la Patria" Mille in verde... se rosso non si passa! verde speranza di bandiera? è verde cotto - colore di fondi di bottiglia.
Poi che divelta, nella tracia polve Giacque ruina immensa L'italica virtute, onde alle valli D'Esperia verde, e al tiberino lido, Il calpestio dè barbari cavalli Prepara il fato, e dalle selve ignude Cui l'Orsa algida preme, A spezzar le romane inclite mura Chiama i gotici brandi; Sudato, e molle di fraterno sangue, Bruto per l'atra notte in erma sede, Fermo già di morir, gl'inesorandi Numi e l'averno accusa, E di feroci note Invan la sonnolenta aura percote.
Stolta virtù, le cave nebbie, i campi Dell'inquiete larve Son le tue scole, e ti si volge a tergo Il pentimento. A voi, marmorei numi, (Se numi avete in Flegetonte albergo O su le nubi) a voi ludibrio e scherno È la prole infelice A cui templi chiedeste, e frodolenta Legge al mortale insulta. Dunque tanto i celesti odii commove La terrena pietà? dunque degli empi Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta Per l'aere il nembo, e quando Il tuon rapido spingi, Né giusti e pii la sacra fiamma stringi?
Preme il destino invitto e la ferrata Necessità gl'infermi Schiavi di morte: e se a cessar non vale Gli oltraggi lor, dè necessarii danni Si consola il plebeo. Men duro è il male Che riparo non ha? dolor non sente Chi di speranza è nudo? Guerra mortale, eterna, o fato indegno, Teco il prode guerreggia, Di cedere inesperto; e la tiranna Tua destra, allor che vincitrice il grava, Indomito scrollando si pompeggia, Quando nell'alto lato L'amaro ferro intride, E maligno alle nere ombre sorride.
Spiace agli Dei chi violento irrompe Nel Tartaro. Non fora Tanto valor né molli eterni petti. Forse i travagli nostri, e forse il cielo I casi acerbi e gl'infelici affetti Giocondo agli ozi suoi spettacol pose? Non fra sciagure e colpe, Ma libera né boschi e pura etade Natura a noi prescrisse, Reina un tempo e Diva. Or poi ch'a terra Sparse i regni beati empio costume, E il viver macro ad altre leggi addisse; Quando gl'infausti giorni Virile alma ricusa, Riede natura, e il non suo dardo accusa?
Di colpa ignare e dè lor proprii danni Le fortunate belve Serena adduce al non previsto passo La tarda età. Ma se spezzar la fronte Né rudi tronchi, o da montano sasso Dare al vento precipiti le membra, Lor suadesse affanno; Al misero desio nulla contesa Legge arcana farebbe O tenebroso ingegno. A voi, fra quante Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte, Figli di Prometeo, la vita increbbe; A voi le morte ripe, Se il fato ignavo pende, Soli, o miseri, a voi Giove contende.
E tu dal mar cui nostro sangue irriga, Candida luna, sorgi, E l'inquieta notte e la funesta All'ausonio valor campagna esplori. Cognati petti il vincitor calpesta, Fremono i poggi, dalle somme vette Roma antica ruina; Tu sì placida sei? Tu la nascente Lavinia prole, e gli anni Lieti vedesti, e i memorandi allori; E tu su l'alpe l'immutato raggio Tacita verserai quando né danni Del servo italo nome, Sotto barbaro piede Rintronerà quella solinga sede.
Ecco tra nudi sassi o in verde ramo E la fera e l'augello, Del consueto obblio gravido il petto, L'alta ruina ignora e le mutate Sorti del mondo: e come prima il tetto Rosseggerà del villanello industre, Al mattutino canto Quel desterà le valli, e per le balze Quella l'inferma plebe Agiterà delle minori belve. Oh casi! oh gener vano! abbietta parte Siam delle cose; e non le tinte glebe, Non gli ululati spechi Turbò nostra sciagura, Né scolorò le stelle umana cura.
Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi Regi, o la terra indegna, E non la notte moribondo appello; Non te, dell'atra morte ultimo raggio, Conscia futura età. Sdegnoso avello Placàr singulti, ornàr parole e doni Di vil caterva? In peggio Precipitano i tempi; e mal s'affida A putridi nepoti L'onor d'egregie menti e la suprema Dè miseri vendetta. A me d'intorno Le penne il bruno augello avido roti; Prema la fera, e il nembo Tratti l'ignota spoglia; E l'aura il nome e la memoria accoglia.
Cappuccetto Rosso, sono la nonna. Ho allacciato le "stringhe", posso comunicare.
Qui il tempo ha la misura della luce, il silenzio è interrotto dalle voci come suoni, percuotono sui timpani, vibrano le "membrane". Piccola, la tua voce cristallina nel silenzio ha fantastici rinvii. Se mi chiami, "nonna nonnaaa, nooo" l'eco si riproduce negli abissi, si congiunge al rumore della Terra intermittente attraversa i buchi neri è silenzio.
Ricorda, ho lasciato il mio bagaglio, le radici; le mie foglie - sempre verdi - nella luce. Tu, le mie radici i principi di vita: rispetta la semina, il raccolto. Ascolto è il battito impazzito del tuo cuore - elettrizza - Amore è poesia pulsano le "membrane".
Il tempo si misura con gli spilli, otto ore in fabbrica è denaro, la produzione stanca; a fine mese comprerò i semi la vanga per la terra, e aspetterò il raccolto, i frutti dell'orto, i papaveri rossi tra l'oro delle spighe è un ricordo lontano! Crisalide, farfalla sui fiori a primavera volerò alto. Privata d'orizzonti, mi resta poco tempo per attraversare il solco della terra.
Ero nel guscio in braccio alla mia nonna, gli altri stavano fuori. Poi sono andata a scuola. La merenda mi sparì dal banco e, al mio compagno, addentai la guancia. Sono passati gli anni, i lunghi miei capelli vanno al vento, il seno è prosperoso, ho addosso mille sguardi. Se attraverso il bosco lo so, arriva il lupo. Sogno l'anarchia, dove il controllo è mio: si cliccano i bottoni del cervello si resetta il buio, si accende la luce, poi s'infrange la legge: ho fame, vado... al supermercato prendo la mela sottobanco incontro il mio compagno, il capitale è suo. Miracolo e stupore: mi rubò la merenda, ha fatto il portafoglio.
Il tempo a lungo annoia il gusto del proibito s'inchioda nel cervello. Sul nido della rondine un cuculo non tornerà a primavera. La serpe si sgroviglia sotto il sole i piccoli s'intrigano nel covo. Gira la terra; non cambia verso, trovarlo il punto fermo per la sterza! A destra, poi a manca, ecco si ferma - meraviglia - riparte il gioco è palla. Se giunge la sconfitta il riso è amaro - Fermati, o sole! si prolunghi il giorno.
La musica nel vento porta la nostalgia, suoni di versi: il miagolio dei gatti sopra i tetti, il guaito di un cucciolo disperso. - Buon giorno - annuncia il gallo, l'usignolo legge sullo spartito della vita, canta il mio dramma. La musica mi avvolge, è nostalgia ho un groppo in gola piango, tiro su il naso. Ricordo: un filo d'erba in mano poggiato sulle labbra, è musica nel fiato; grido il mio concerto libero nel vento, chiusa tra queste mura.
Grappoli di stelle s'annebbiano e l'Orsa esangue invoca il carro delle sue ragioni. Qualcuno ha inferto al cielo una ferita purulenta da cui sgorga marcia la luna.
Giallo fu l'urlo del silenzio in una notte squarciata, ricordo del giorno sfocato tenacemente incollato a un volto disorientato. Deliquio di parole nella bocca ristagna - un crepitar di foglie molestate - giallo autunno inoltrato eterna cifratura di dolore, insistente carezza spinata intorno al mio cervello devastato, giallo pallore resto di copertina patinata di invisibili lacrime rigato, giallo itterizia l'occhio della morte quando sceglie un cadavere essiccato per farne polvere incontaminata.