Spazio spazio, io voglio, tanto spazio per dolcissima muovermi ferita: voglio spazio per cantare crescere errare e saltare il fosso della divina sapienza. Spazio datemi spazio ch'io lanci un urlo inumano, quell'urlo di silenzio negli anni che ho toccato con mano.
Non so come tu canti, mio signore! Sempre ti ascolto in silenzioso stupore. La luce della tua musica illumina il mondo. Il soffio della tua musica corre da cielo a cielo. L'onda sacra della tua musica irrompe tra gli ostacoli pietrosi e scorre impetuosa in avanti.
Il cuore anela di unirsi al tuo canto, ma invano cerco una voce. Vorrei parlare, ma le mie parole non si fondono in canti e impotente grido. Hai fatto prigioniero il mio cuore nelle infinite reti della tua musica.
Dalla spoglia di serpe alla pavida talpa ogni grigio si gingilla sui duomi... come una prora bionda di stella in stella il sole s'accomiata e s'acciglia sotto la pergola... come una fronte stanca è riapparsa la notte nel cavo d'una mano...
Quando il pensiero di te mi accompagna nel buio, dove a volte dagli orrori mi rifugio del giorno, per dolcezza immobile mi tiene come statua. Poi mi levo, riprendo la mia vita. Tutto è lontano da me, giovanezza, gloria; altra cura dagli altri mi strana. Ma quel pensiero di te che vivi, mi consola di tutto. Oh tenerezza immensa, quasi disumana!
Non disprezzare il poco, il meno, il non abbastanza L'umile, il non visto, il fioco, il silenzioso Perché quando saranno passati amori e battaglie Nell'ultimo camminare, nella spoglia stanza
Non resteranno il fuoco e il sublime, il trionfo e la fanfara Ma braci, un sorso d'acqua, una parola sussurrata, una nota Il poco, il meno il non abbastanza.
Finita è la notte e la luna si scioglie lenta nel sereno, tramonta nei canali.
È così vivo settembre in questa terra di pianura, i prati sono verdi come nelle valli del sud a primavera. Ho lasciato i compagni, ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura, per restare solo a ricordarti.
Come sei più lontana della luna, ora che sale il giorno e sulle pietre bette il piede dei cavalli!
Quando per un mortale il fragore del giorno cessa e sulla muta città l'ombra traslucida della notte e il sonno che ristora scende già, allora per me s'insinua nel silenzio il tempo del penoso vegliare: e nell'inerzia notturna, della serpe del cuore sento i morsi bruciare. I sogni fervono e da gravi pensieri è oppressa allora la mia mente. Il tacito ricordo davanti a me il suo lungo rotolo distende, e con disgusto leggendo la mia vita, amaramente piango e mi deprimo, amaramente tremo e maledico, ma i tristi versi non sopprimo.
Quando a notte vado sola al mio convegno d'amore, gli uccelli non cantano, il vento non soffia, le case ai lati della strada sono silenziose. Sono i miei bracciali che risuonano a ogni passo, e io sono piena di vergogna.
Quando siedo al balcone e ascolto per sentire i suoi passi, le foglie non stormiscono sui rami, e l'acqua del fiume è immobile come la spada sulle ginocchia d'una sentinella addormentata. È il mio cuore che batte selvaggiamente - e non so come acquietarlo.
Quando il mio amore viene e si siede al mio fianco, quando il mio corpo trema e le palpebre s'abbassano, la notte s'oscura, il vento spegne la lampada, e le nuvole stendono veli sopra le stelle. È il gioiello al mio petto che brilla e risplende. E non so come nasconderlo.