Scritta da: Gaetano Toffali
in Poesie (Poesie personali)
figlio mio
Figlio mio
Ti spiego la vita:
dura
finché non è finita.
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Figlio mio
Ti spiego la vita:
dura
finché non è finita.
Chiama ti prego.
Sono solo di te.
Noi inchiodati
qui
a scrivere poesie.
So
che questa
non è poesia.
È la storia di un treno.
So
che su quel treno
c'erano
un barbone
un emigrante
un operaio
una studentessa
un padre di famiglia.
So
che il barbone
ha la mia età
senza denti
senza capelli
e ride e piange
e non va da nessuna parte
e non ha nessuna valigia.
So
che l'emigrante ha cinquantatré anni
e viene dalla Germania.
So
che va in Sicilia
e nella valigia
una stecca di cioccolata.
So
che l'operaio
lavora all'Alfa Romeo.
So
che ha quarantadue anni
nella valigia
l'ultima busta paga.
So
che la studentessa
è molto bella
e ha diciassette anni.
So
che va a vedere Roma,
nella valigia
la macchina fotografica.
So
che il padre di famiglia
ha gli occhiali sessantadue anni
un nipote a Bari
e nella valigia
"la cena per i suoi rondinini".
So
che stanno aspettando qualcosa
e ridono
e il treno ride
e le valigie ridono
e la democrazia
nascosta sotto i binari
come sempre
ride.
Bum.
Signore
non credo non credo
eppure sono qui
davanti inginocchiato
Ah se sapessi
mi piacciono le contraddizioni
per poter restare me stesso
Sono uno stupido
non occorre che te lo dica
il meno riuscito
dei tuoi figli
Sono brutto sono un fallito
eppure non ho nulla da chiederti,
non voglio miracoli per me,
mi accontento che il sole
mi dica buongiorno.
Signore, non sono qui
per fare la ruota come un pavone
ma neanche per battermi il petto
domandando perdono.
Io sono solo un bambino
che piange e arranca e fatica.
Io muoio su una croce diversa
mordendo i chiodi
e spingendo i piedi
verso il basso a sentire
l'erba che cresce.
Poteva capitare anche a te
nascere in un pentolone
tra rospi e intrugli
di streghe senza processo
e il dolore grande di una madre.
Io mi sono trovato a passare
da quelle parti.
Avessi una luna
Avrebbe i tuoi occhi
Leggero il profumo
i seni ai miei baci
Partendo lontano
Vorrebbe l'incanto
Lo zufolo triste
Che è già compagnia
Matassa di uomo
Che spreca se stesso
Sapessi un sorriso
Mi ci crederei.
Apri il cuore al respiro imponente
Dell'amore negato
Picchia duro contro il bastione pesante
Della paura al passato
Non vergognarti di te e di che vuoi amare
Senza ritegno alcuno
Vivere è l'impegno giocoso che non devi
Lasciare digiuno
Gli errori del passato
Danno fatica a rifare
Ma un cuore innamorato
Muore senza calore
La paura della fine
Lascia sgomenti al pensiero
Ma vivere è ripartire
Dagli errori e non da zero.
Dopo fatto l'amore
Con il tuo odore vicino
e le mani vaganti
Che non stacco più
c'è qualcosa da dire
Quando trovo parole
o il respiro tacere
Nelle labbra con te.
Se tu mi avessi chiesto: "Come stai?"
Se tu mi avessi chiesto dove andiamo
t'avrei risposto "bene, certo sai"
ti parlo però senza fiato
mi perdo nel tuo sguardo colossale,
la stella polare sei tu mi sfiori e ridi no, cosi non vale
non parlo e se non parlo poi sto male
Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
e non lo sai perché non te l'ho detto mai
anche se resto in silenzio, tu lo capisci da te
Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
non l'ho mai detto e non te lo dirò mai
nell'amor le parole non contano conta la musica.
Se tu mi avessi chiesto: "Che si fa?"
Se tu mi avessi chiesto dove andiamo
t'avrei risposto dove il vento va
le nuvole fanno un ricamo
mi piove sulla testa un temporale
il cielo nascosto sei tu ma poi svanisce in mezzo alle parole
per questo io non parlo e poi sto male
Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
e non lo sai perché non te l'ho detto mai
anche se resto in silenzio, tu lo capisci da te
Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
non l'ho mai detto e non te lo dirò mai
nell'amor le parole non contano conta la musica.
Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
non l'ho mai detto ma un giorno capirai
nell'amor le parole non contano conta la musica.
I primi segni a ben vedere
non erano mancati. È la ricomparsa
che nessuno si poteva attendere. Dato che poi,
sulla poltrona, magari in lacrime, se ne era parlato
della sparizione. Ma in concreto, quanto ne sapevamo?
Ricordati, però, senza cercare colpe, dell'acqua
entrata di notte sotto i vetri in nostra assenza, della crepa
che taglia tutto il soffitto, addirittura del solaio,
sopra la stanza in fondo e che neppure ci siamo curati di visitare,
del lampadario che dondola, degli infissi mezzi marci.
Oggi, poi, come non bastasse, guarda qui! Avvicinati,
guarda un po' qui, ti dico, qui sotto. Mi cresce la muffa,
la muffa sulla suola!
È che mio padre sì
sapeva di lettere, cultura: London
Steinbeck, Coppi e Bartali, Oscar
Carboni e la Gazzetta
dello Sport. L'officina. E quelle camicie d'allora,
larghe, i pantaloni alti in vita, palesò palandrane...
Mi sono domandato il perché
di questo continuo andarsene
di inquilini, qui dell'interno. E di operai
che vanno e vengono e sporcano le scale. (Chissà adesso
come sarebbe tutta consumata la targhetta della porta.)