I piedi di mio padre puzzavano e aveva il sorriso come un mucchio di merda di cane. ogni volta che notavo i peli ispidi irti corti della sua barba dentro al lavandino del bagno pensieri disgustosi si insinuavano nel mio cranio, intuivo porticati gravidi di stolti per l'eternità.
Essere lo stesso sangue di quell'odiato sangue rendeva le finestre intollerabili, e la musica e i fiori e gli alberi brutti. Ma si vive: il suicidio prima dei dieci anni è raro.
Brutali erano le calle brutali il nettare e il bacio brutale la campanella dell'intervallo della scuola. brutali le partite di softball brutali calcio e pallavolo. i cieli erano bianchi e alti, e guardavo le facce dei gioca- tori ed erano stranamente mascherate.
Adesso mangio nelle tavole calde vado a concerti vivo con donne scommetto bevo poto siepi compro automobili ho amici e animali; partecipo a matrimoni funerali incontri di pugilato, pago un'onesta fetta di tasse, faccio la fila nei supermercati, mi pulisco le unghie, taglio i peli lunghi delle narici, mi crogiolo al sole, riparo danni, cerco di non offendere, rido, ascolto i punti di vista dei nemici, telefono ad idraulici e ad avvocati, vengo trainato quando ho un guasto in autostrada, tengo i denti puliti, ricerco eroi, vengo accecato se guardo troppo a lungo il sole.
I piedi di mio padre puzzavano e aveva il sorriso come un mucchio di merda di cane.
A volte sulla sponda della via preso da infinito scoramente mi seggo; e dove vado mi domando, perché cammino. E penso la mia morte e mi vedo già steso nella bara troppo stretta fatoccio inanimato...
Quant'albe nasceranno ancora al mondo dopo di noi! Di ciò che abbiam sofferto di tutto ciò che in vita ebbimo a cuore non rimarrà il più piccolo ricordo
Le generazioni passan come onde di fiume...
Una mortale pesantezza il cuore m'opprime. Inerte vorrei esser fatto come qualche antichissima rovina e guardare succedersi le ore, e gli uomini mutare i passi, i cieli all'alba colorirsi, scolorirsi a sera...
Mi desto dal penoso sonno solo nel cuore della notte. Tace intorno la casa come vuota e laggiù brilla silenzioso coi suoi lumi un porto. Ma sì freddi e remoti son quei lumi e sì alto il silenzio nella casa che mi levo sui gomiti in ascolto. Improvviso terrore mi sorprende il fiato e allarga nella notte gli occhi: separata dal resto della casa separata dal resto della terra è la mia vita ed io son solo al mondo.
Poi il ricordo delle trite vie e dei nomi e dei volti consueti emerge come spiaggia da marea e di me sorridendo mi riadagio.
Ma svanita col sonno la paura, un gelo in fondo all'anima rimane: io tra gli uomini vado curioso di lor ma come estraneo; ed alcuno non ho nelle cui mani metter le mani e col quale di me dimenticarmi.
È una bella notte d'estate Tengono le alte case aperti i balconi del vecchio paese sulla vasta piazza Nell'ampio rettangolo deserto, panchine di pietra, evonimi ed acacie simmetrici disegnano le nere ombre sulla bianca arena. Allo zenit la luna, e sulla torre la sfera dell'orologio illuminata. Io in questo vecchio paese vo passeggiando solo come un fantasma.
Io crebbi in un silenzio arabescato, in un'ariosa stanza del nuovo secolo. Non mi era cara la voce dell'uomo, ma comprendevo quella del vento. Amavo la lappola e l'ortica, e più di ogni altro un salice d'argento. Riconoscente, lui visse con me la vita intera, alitando di sogni con i rami piangenti la mia insonnia. Strana cosa, ora gli sopravvivo. Lì sporge il ceppo, e con voci estranee parlano di qualcosa gli altri salici sotto quel cielo, sotto il nostro cielo. Io taccio... come se fosse morto un fratello.
Da questa artificiosa terra-carne esili acuminati sensi e sussulti e silenzi, da questa bava di vicende - soli che urtarono fili di ciglia ariste appena sfrangiate pei colli - da questo lungo attimo inghiottito da nevi, inghiottito dal vento, da tutto questo che non fu primavera non luglio non autunno ma solo egro spiraglio ma solo psiche, da tutto questo che non è nulla ed è tutto ciò ch'io sono: tale la verità geme a se stessa, si vuole pomo che gonfia ed infradicia. Chiarore acido che tessi i bruciori d'inferno degli atomi e il conato torbido d'alghe e vermi, chiarore-uovo che nel morente muco fai parole e amori.
Conzacareghe, Caregheta (Impagliatori di seggiole, Seggiolai)
Riva riva i caregheta che i é cofà 'na società segreta, i à 'n dèrego che sol che lori i sa e 'na sior'Ana che sol che lori i sa: eco 'l primo che 'l passa, l'inpaja la carega e inte la paja'l ghe assa una renga che 'l gat sgrifarà via, cussì quel che vien dopo, bon colega, catarà 'na carega anca lu da inpajar, e così sia.
Arrivano, arrivano i seggiolai che formano tra loro quasi una società segreta, usano un gergo che solo loro conoscono e hanno un vuoto in pancia che loro soli sanno: ecco il primo che passa, impaglia la sedia e tra la paglia lascia un'aringa che il gatto strapperà via, così chi verrà dopo, buon collega, troverà una sedia anche lui da impagliare, e così sia.