Scritta da: Gianluca Ambrosino
in Poesie (Poesie personali)
Metamorfosi
Bisogna
saper leggere
le proprie stelle
per cambiare, e
sfidare il dondolare,
culla,
delle onde
del mare.
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Bisogna
saper leggere
le proprie stelle
per cambiare, e
sfidare il dondolare,
culla,
delle onde
del mare.
E mi ritrovo
a coprire il sole
con le mani
come a volerlo
contenere,
ma quel che solo
riluce
sono le mie
sgangherate unghie
ed il proposito
di non mangiarle più.
il respiro
si infrange
al mio tirar di sassi
ad una montagna
che non si smuove,
troppo lenti sono
i miei passi
per raggiunger, ora,
rive nuove.
ma senti
il loro rumore
che inesorabile scava
la roccia,
pronta ad esplodere come lava.
forse l'udito
non ti è così forte
forse è giusto che così sia,
perché il cambiamento
è soltanto una cosa
intima,
una cosa mia.
al limite
lo si può sussurrare
perché a dirlo
poi, rischia di andar via
ma, come l'arte, va mostrato
ad opera ultimata,
altrimenti
si crea l'aspettativa
e cade la magia.
raccolgo comunque
un pugno di parole
e dico solo che
questo motore,
forte dentro me si muove,
e quasi non fa rumore;
rosicchia ogni granello
come inesorabili
scorrono le ore.
lo spazio e il tempo
fermi stanno
in movimento,
come in uno sbatter d'ali,
sono buchi ad oggi eterei
sono onde gravitazionali,
sono inspiegabili
tasselli
di una vita che par ferma,
sono una vista montana
che all'occhio,
qui ed ora,
tutto rallenta
ma tutto
per la metamorfosi
lavora,
non importa
ritrovarsi al punto
di partenza,
l'importante
è la consapevolezza,
poi,
della propria essenza.
la mia mano
l'anima interroga
ma per ora è sol ferita,
come il giardiniere
la terra scava
per poi
far germogliare
nuova vita.
in questo enorme
prato,
nel qual opera
la mia mente,
così assordante
è il silenzio
che si sente,
quello che senza dubbio
devo sopportar
senza lamento:
il lancinante,
necessario,
sublime,
alle volte effimero
ma profondo,
silenzio del cambiamento.
Freme la mano
dalla voglia di scrivere,
freme
un pensiero
di uscire dal silenzio,
ma tanti sono
i rumori
d'intorno
che ne esce
solo un suono stonato.
allora
di nulla
par che si scriva.
di un animo
turbato
che getta
i suoi versi
alla ricerca di
una riva,
alla scoperta
di una sponda
dove sia chiaro
il batter dell'onda.
ma è solo
spuma
e grovigli e rabbia,
cieca
che fine a se stessa
si consuma.
piano
la mente
all'orizzonte
si dilegua,
esce fuori
come un frastuono
che non dà tregua.
e intanto
il mare volteggia
in un continuo
ritornare,
sceglie
uno scoglio
in cui l'onda convinta
si spacca,
poi ti travolge
con terribili
correnti
di risacca.
e mentre
di nulla
queste righe riempio,
proverò
a spedir nell'aria
un pensiero,
come per sorte
si lancia una monetina,
per veder
se giù cadon sorrisi
oppure la pioggia
di quella battente,
da sera a mattina.
Dalla pioggia
assai forte
nella quale
la mia mente si incaglia,
nella strenua
ricerca
del ritorno al sereno,
ecco spuntare,
che quasi mi abbaglia,
di sorpresa, all'improvviso,
l'arcobaleno,
splendente e lucido
come un immenso sorriso.
Soffice,
tenero,
quasi soffuso,
tremerò
tra le labbra del vento,
come mai
riuscì a tremare,
in quel
continuo andirivieni
delle onde del mare,
mentre il sole
dentro esso
piano, si è spento.
Non smarrirti
in questa marcata profondità,
non confondere
l'immobilità di un quadro
in veleno muto.
Lotta,
lottiamo,
avvolgiamoci
abbeveriamoci
attorcigliamo le nostre forze.
Sprofondiamo
tocchiamo
la nostra marcata
profondità
per porre un seme.
Il mio,
il tuo,
il nostro.
Un vagito.
Solitudine:
il ticchettar della fretta
di chi, nella moltitudine
vede solo confusione
e lascia le parole
gelate dentro sé!
Solitudine
di chi anche in compagnia
vola in un altrove
che altrove poi non è.
Solitudine
infinito leopardiano
dove le cesoie
di un giardiniere
mai spuntare potranno
le alte fronde
della siepe di diffidenza.
Solitudine:
chi la subisce e
chi inconsapevole
la accoglie.
Oggi spicco quel volo
che porta alla terra
quel seme che vola,
nell'aria
e volteggia
e non posa
e a te va,
a te ritorna,
ti circonda. Mio eros
ideale che allude
alla carne,
ma al cuore ambisce.
Nella mia anima
ti voglio plasmare,
le mie lacrime,
la condensa del tuo respiro
mi aiuteranno a
render terreno
questo amore.
Come il fiorir improvviso
di un sogno.
Dalla luna
scendi
con quel tuo
madido volto:
tenerezza e tristezza.
Eros
sei le mille facce
della vita.
Sei culla
sei spina
sei carne
sei scintilla
sei etereo pensiero.
Sei la fine
di questo blaterare,
sei la fine
di ogni astrazione,
sei la fine
del solo sperare.
L'importante
è che tu sia aria
ed io il tuo respiro.
Fusione divina!
La calma
e la Tisi
della gente perbene,
urlano nel vento
la sera,
legate all'olmo
di una moralità
mai scritta.
Tra le tacite
grida, gli affanni
scorrono nelle vene,
e il male
va nel mare
del perbenistico pensare.
Emozioni legate,
come quasimodiane cetre,
alle fronde dei Salici
che adombrano la Vita!
A volte capita
che mi blocco,
mi prende male e
quasi sbrocco,
mi sento impotente
l'esatto opposto
di Siffredi Rocco.
Trovo una parola,
ma è un tranello,
come un pesce
all'amo abbocco,
così la scrivo e
mi balocco
restando ad aspettar
come un allocco
un consenso,
ma non arriva
e mi sento sciocco.
Poi
alzo gli occhi
e mi accorgo
in un sol tocco
che sono sulla cima
davanti,
ad un affascinante
scenario Barocco.
Viver densamente
quel che vedo
devo
senza fretta e
senza infiocco.
L'ispirazione (alla vita)
tornerà da se
in quel che delle dita
è uno schiocco.
Gettavo sguardi
al mondo
che circondava
con fare atavico
la mia nuova casa,
quell'enorme scultura
era indissolubilmente
parte del mio respiro
e con essa
partiva
quel sonno
che avrebbe raccolto
i miei sogni.
Ancora acerbi
e superbi di ignoranza
quindi, suscettibili allo sguardo
e al mutamento. Ingenui
quindi, ricchi
di quella linfa
che vitale
fa crescere il mondo.
I miei
imberbi compagni
di viaggio,
eran lievi stornellatori
che rendevan
i miei sogni
un po' più reali.
E non solo
mi sentivo, ad affrontare
quel sogno che sapeva
del risveglio
di un'alba.
L'alba soffice
di una nuova esperienza
toccava languida
le mie guance
livide di voglia
e di scoprire.
Quel sapore
che oggi lieve,
in me riposa,
come uno stanco ubriaco.
Ma la gioventù
è una mantide religiosa
e si ciba
di tutto quel
del quale gode
e ne assorbe l'essenza
e ne prende le sembianze.
Io ero il vento
che soffiava
all'ombra della torre!
.
Non confonde lo sguardo il mare e il cielo
in questo guardare che sa di prato,
ma negli occhi si accascia un sottile velo
che, gloria lo scuro e non l'assolato.
Feriti stiamo come sta lo stelo
memore del suo fiore colorato,
qualcosa lo amputò, forse fu il gelo.
Ed ora, piange, solo e desolato.
Non siamo degli steli e, il nostro sguardo,
Deve saper porre un seme molto lontano.
Lanciato a tutta forza come un dardo!
Con passione, mai sarà un gesto vano
Anche se il suo germogliar sarà tardo.
I sogni, quelli veri, arrivan piano!