A piedi nudi, al riparo della grotta, osservo... il cielo infuriare e scatenare la sua ira, mobilitando il vento, sulla tavola immobile, nera come pece, sotto di lui, che, come fluido specchio, gli ha sottratto l'identità. A piedi nudi, accoccolata su me stessa, attendo... che il diluvio cessi, il vento si calmi, le nubi si disperdano, il mare si acquieti, la luna riappaia a irradiare la Terra, effondendo il suo argento. E ritorni il silenzio, a regnare sovrano. A piedi nudi, sulla rena bagnata, attendo ancora... e ancora il freddo mi pervade, provocandomi brividi, inarrestabili e incontrollabili che scuotono le membra, intirizzite, e fatalmente prostrate. A piedi nudi, il mio spirito tormentato ascolta... lo sciabordio dell'acqua accarezzare l'arenile, dolcemente e la flebile brezza sussurrare, nello sfiorare i miei capelli. A piedi nudi, perennemente immobile, la scorgo... nella semioscurità, Entità alata, volgere il capo, riccio, dissolvendo ogni mio pensiero e riacutizzando brividi, di tutt'altro genere, bensì nessun dubbio mi assalga che sia demone, sotto mentite spoglie. A piedi nudi, nuovamente sola, nonché turbata, avanzo... come fantasma errante, lungo la riva, deserta, bramando le sue orme, che il mare, venerante, non ha dissacrato, su cui, ad occhi chiusi, impregnandomi di pace, poso i miei piedi... nudi.
Acqua... ... Da natia sorgente, sgorghi, fra anfratti di roccia scalfiti, scrosci... Di artico fluido, ti vesti... spandendo invitanti fruscii, che, ad argentine e antiche risa, di giubilanti pargoli, riporti... Verso te... inchinata... ... Invoco... per grazia... Riempi l'immacolate mani, che devastante dolor, mai arrecarono, racchiuse, or ora, come caldo, concavo scrigno e compiaci l'assetata mia bocca, di voluttuosi baci, anelante, che, di te, si sollazza... ... Fitta cascata, irrompi, tra rocce e sassi, tuffasi, come vitale fonte, con zampillante balzo, in suggestiva pozza, da leggiadre ninfe, abitata, che, tu medesima, hai plasmato... Di cristallino manto, ti vesti... Ignuda... a te, protesa... ... Invoco... per grazia... Purifica, con salubre dolcezza, il languido mio corpo, come, pietosa, laveresti via mortal peccato, se, di Divino Assenso, fossi rivestita e carezzane l'infuocate membra, d'ardente desiderio, possedute, cosicché spegnerne il tormento, come spegneresti fuoco, divampante... ... Turchese mare, ti riveli, tra cielo e Terra, pulsante e vivo, di salina e amara linfa intriso, seppur, con carisma, generato. Nel tuo sconfinato impero, che, ognor dominante, invincibile, si erge... di bramante trionfo, ti vesti... Sconfitta... a te, arrendevole... ... Invoco... per grazia... Conducimi con te, per il sommerso spazio, tra varia e variopinta fauna, vermigli coralli e, di alghe, distese, onde, alla chimerica Atlantide, approdare, di aitanti fauni e lusinghiere sirene, segrete parvenze, scoprire, acciocché, dallo straziante vivere, sull'effimera terra, fattosi, anzitempo, mesto sopravvivere, fuggire e cercar rifugio.
Grigio assoluto, nel nascente mattino... Tenebra oscura, nel pieno del giorno... Di neutro colore, il mondo mio si è appropriato, rispecchiante le spente tinte di cui si pregna il mesto silenzio... Tetra spirale, carpente lo spirito avvilito, già, da mera solitudine, circuito... Ma... per incanto... di colori, un'esplosione, intorno e dentro me... nello scoprire il tuo sorriso che, d'improvviso, da spira carceriera, mi ha strappata, disgregatasi all'istante, magicamente. L'avvolgente magia, che nasce dall'amore, che colora la mia vita e fa risplendere, per me, il sole... di oro, splendente, infervorante la Terra che gli si concede, sua anima gemella... Di conseguenza, il verde dei prati, accende, come, dei fiori, i pigmenti e, dell'acqua marina, il blu turchino, sottratto al cielo, in un saccheggio continuo. Rosso passione colora le mie labbra, quando, alle tue, si avvicinano, in un bacio divino che, la nostra anima, trascina in volo sull'iridescente arcobaleno, dove, la danza dei colori ci attira, dai policromatici toni, di cui ci inebriamo, attendendo la notte e lo spuntare della luna... che, giunta, imperturbabile, ci scruta, forse fingendo, visto che pare sorriderci... quando ci inonda d'argento.
Moltitudine di anime, nella vasta grotta, ascoltano, in silenzio, la parola del Signore e pregano. Lo sguardo sorvola tutt'intorno, nella sacralità del luogo, mentre l'emozione cattura la gola e gocce salate, trasparenti, luccicanti come cristalli, sgorgano dagli angoli degli occhi, scivolando giù, lungo le guance, inarrestabili. Le mani si congiungono per una silenziosa preghiera, intanto che la mente corre, a ritroso nel tempo, immaginando il toro, immobile, nel rifugio precario e la freccia scagliata dalla mano infuriata, tornata, come un boomerang, a colpire il mandante, in quella grotta tra le tante, in una zona impervia e incontaminata. Ancora pura. La grotta prescelta dall'Angelo, consacrata dalla Sua stessa presenza eterea, celestiale, paradisiaca. La grotta in cui Michele, Arcangelo di Luce, Agguerrito Capo delle Guarnigioni Angeliche, Intrepido Vincitore di orde di angeli del male, ha salvato l'animale ed è apparso, Messaggero proveniente dalla Dimensione Divina, su quest'angolo di mondo, a dare prova di sé e del Suo Mondo, Eterno, Perfetto, Immutabile. I miei piedi calcano la terra che hai calcato Tu e, per questo, il mio cuore esulta.
I riflessi, dell'anima mia, sfaccettature, inestinguibili e variegate, da dissacrante metamorfosi, non intaccate, che induce il corpo mio, come petalo sfiorito, a morire e, alla polvere, tornare, per il destino, di ognuno, già scritto, al principio. Riflessi di luce, tonalità di colori mutanti e rispecchianti emozioni, sensazioni, di ogni momento dell'effimera vita, che, l'essere, empiono, attraverso la spoglia... Quand'esso ama e, l'anima che, di ardore, si nutre, di dolcezza, di candore e di eterno amore, l'ebbrezza passionale, fa volare, liberamente, oltre la materia, vagando, lucente rubino, per lo spazio smisurato, a lambire la luna, che la guarda attonita e a toccare le stelle, del cielo, splendenti sorelle... Quand'esso canta, incitandola a viaggiare tra terra, sorvolando città, aguzzi monti, correnti fiumi, ameni laghi, verdi prati, di fiori, cosparsi, d'estasi profumati... e mare, distesa fluida ed infinita, come il cielo, d'azzurro, colorata, su cui, l'anima, rapita, si fa turchina, specchiandosi, inebriata... Quand'esso soffre, espandendo il suo dolore, fino a travolgerla, per ciò che riserva la vita, nel buio opprimente si rifugia, di cui assume l'oscuro colore, anima in pena, miseramente smarrita. Riflessi d'anima pulsante, di luce, rifulgente, governatrice del vitale mio cosmo, creato e plasmato dal Sempiterno Artista, particella, seppur infinitesimale, integrante, di quello universale e sconfinato...
Un bel dì la formica laboriosa, affaticata dalla calura estiva, incontrò una cicala canterina che, felice del suo canto esasperante, strimpellava una chitarra assai grande. Stanca e mogia la formica s'apprestava a rincasare, col suo carico di roba da mangiare, prevedendo un sì lungo rigore invernale e lo scarseggiar del cibo sul terreno ricoperto dalla neve. Uno sguardo sorvolò quella cicala, che suonava e cantava a più non posso, sotto un pioppo, al riparo delle fronde, a godersi ampiamente la frescura. "Lascia stare di sudare e camminare, vieni qui vicino a me, t'insegnerò a cantare": "Canta, canta, che l'inverno è alle porte, suona e canta quel tuo canto petulante, poi non starti a lamentare, se la pancia resta vuota, senza nulla da mangiare". Replicò la formica, alquanto risentita. E il gelo venne infine molto presto, a rivestir la terra d'un candido mantello. La formica se ne stava nella tana, al calduccio, con la scorta di provviste, a svernare, in attesa del bel sole. La cicala canterina, non cantava dalla sera alla mattina, visto che la pancia vuota reclamava e borbottava perlomeno una cena. Ma, ahimè, senza esser previdente, nulla aveva messo in serbo, in attesa dell'inverno così freddo. Triste e in pena, chiese aiuto alla formica, che da ospite la prese, per saziare la sua fame, poi un consiglio elargire, affinché smettesse un poco di frinire e più saggia, in futuro, divenire.
Nel letto di dolore, tra spasmi e sofferenze, immobile e preda inerme d'un fato atroce, ti chiedi cos'hai fatto per meritare un simile castigo. In questa tua esistenza, forse hai errato troppe volte, oppur sei qui a scontar pene per tue vite vissute, in altro tempo e in altro spazio, di cui non hai ricordo. Una folle realtà ti vuole disarmato e senza scudo di difesa, affinché la vita, vile carceriera, ti releghi in questo corpo sì stanco e martoriato, privo di alcun libero arbitrio per gridare basta, dacché la voce manca e gli occhi chiusi o fissi non possono parlare. Muto e inerte, pari incosciente, in quel triste sudario, forse lo sei, o forse sei tra noi, presente ed impotente a farti udire, da noi che, limitati, non sappiamo percepire l'urlo straziante che irrompe in te e, lì, muore. Chi sei tu, adesso? Pensi, riflettendo la tua immagine come in uno specchio, piangendo su te stesso e su quell'amaro, mortal destino. Ti senti affievolire come flebile fiammella sul punto di smorzarsi. La vita ti ha deluso e incarcerato in quest'insana spoglia, il cui spirito pretende d'esser libero di scegliere se continuar a vivere, se vita si può dire, o librarsi in volo per divenire anima immortale, in una dimensione astratta e congeniale ad apportare aiuto ad altri nel tuo stato e a custodire chi abbisogna di conforto, libero, uscito da quel corpo che non sentivi tuo, pianto da chi non sa che or ora sei felice.
Dal cielo, fredde lacrime digradano, su di me, quali amorevoli carezze, lungamente attese, di materne mani, che, le guance, inondano e, ad altre, dal salato sapore e dal tenue calore, si confondono, scivolando giù, fino a dissolversi nell'acquitrinosa pozza, di cui, il viaggio va ad iniziare, per lo stretto canale, indi, al grigio fiume fluire, onde sfociare nell'impetuoso mare, dove, del mio pianto, il sale a quel marino, far unire. Languida rosa, fra le mie mani, che, nelle tue, avrei posato, mia dolce sposa. Sussurrato, ogni suo petalo, ti avrebbe il mio amore, che tu pensavi smarrito, per errore, bensì, con la morte, non ti abbia tradito. come, all'inverso, hai fatto tu, che l'hai bramata, cercata, trovata e, con lei, sei partita, senza me, meschino, per un'altra vita lasciandomi qui, solo, confuso e affranto, col rimpianto di non esser morto, avanti a te, dacché, in Ciel, ti avrei accolto, con questa rosa fra le mani, che sfiorirà prima di domani.
Silenzio, nella verde valle ridente, in cui la natura, in quell'aurora radiosa, è ancora, nel sonno, assopita. Echi improvvisi la invadono, poi disperdendosi, nell'ossigenante aria, testè fattasi frizzante. Echi di urla strazianti, di belati stridenti, contrastanti nel perfetto scenario del giorno nascente. Echi di sofferenza, occhi saturi di doloroso languore, delle vittime designate, tenere carni al macello, brutalmente trascinate. Sangue, dissacrante, colora la terra di purpureo rosso e l'odore di morte prevarica, ad oltranza, dei fiori, la fragranza. Poi torna il silenzio, a regnare con clemenza, donando, della pace, solamente la parvenza, nella valle, tutt'intorno. Il silenzio di creature innocenti. Il silenzio delle vittime dell'uomo.
Limpido cielo, di stelle ammantato, in quella gelida notte, nella quale sei nato, finanche, da vivida cometa, attraversato, onde annunciar sublime avvento, tra paglia, nell'angusto antro, in miseri panni e solo riscaldato dal fiato del bue e dell'asinello, tu, umile e divino bambinello, dall'eterea dimensione, proveniente, sull'angosciata terra, per volontà del padre tuo vivente. Regali gesti, dalle miracolose mani, generate per sanare e per donare ciò che era andato perso, per un destino avverso, da chi, nel proprio cammino, ti ha incontrato ed il tuo verbo, ha fatto suo, per cui, ogni peccato, gli è stato cancellato. Carismatiche parole, dalla tua bocca, di pace, perdono, speranza, fratellanza, rivolte alla crescente folla, che ha barattato il cuore, in cambio del tuo amore, per mezzo delle quali, mutando triste sorte, la vita, hai restituito, sconfiggendo la morte, su chi, di te, la veridicità, ha recepito. Tu, come buon pastore, hai conquistato il cuore, di chi, di te, ha compreso che fossi, in verità, il messia tanto atteso, del creatore, l'unigenito figlio, fattosi uomo e, tra i suoi simili, sceso, per prender su di sé, del mondo, diabolico peccato. Ed affinché ciò si avverasse, fosti straziato ed umiliato, a seguito di, con un bacio, esser tradito da chi, al desco tuo, si era seduto ed aveva, con te, intinto il pane consacrato, spezzato e dispensato, come tuo corpo, sulla croce, immolato ed il vino, dal calice, bevuto, offerto, al pari del tuo sangue, versato, per l'eterno patto, dal dorso, che lo scudiscio ha martoriato, dal capo, che le spine della vile corona hanno violato e, appresso che, durante la via, cadesti, sotto, della croce, il grave peso, da taluni reietto e disprezzato, bensì, dai giusti, immensamente amato, dai piedi e dalle mani, trapassati dai sacrileghi chiodi e dal costato, dove, non ancor paghi del male compiuto, vigliacchi, ti hanno altresì ferito. Tu, essere celeste, che, di alcun male, ti sei macchiato ed hai, all'inverso, gli stolti carnefici, perdonato, che, all'insano ordine, hanno obbedito, senza capir realtà di colui che stavano uccidendo e che, a Dio, l'innocente suo spirito, rimetteva, che fosse in ver chi, d'esser, predicava. "Io sono la via, la verità e la vita. Chiunque crederà in me non morirà mai" pronunziò, avanti la sua ascesa, Gesù, chiamato il nazareno, o il cristo, dell'onnipotente, l'unto, il messia, il salvatore... comunque sia... il nostro adorato signore, che, per nostro amor, ha donato la sua vita.