Scritta da: Lucio Dusso
in Poesie (Poesie d'Autore)
Per la strada va
la morte, incoronata,
di fiori d'arancio appassiti.
Canta e canta
una canzone
sulla sua chitarra bianca
e canta e canta e canta.
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Per la strada va
la morte, incoronata,
di fiori d'arancio appassiti.
Canta e canta
una canzone
sulla sua chitarra bianca
e canta e canta e canta.
Io lupo della steppa trotto solo
solo, nel mondo ormai di neve bianco...
Dalla betulla scende un corvo stanco,
ma non vedo una lepre, un capriolo!
Oh come voglio bene ai caprioli!
Poterne trovar uno, oh bella cosa!
Vi affonderei la bocca mia bramosa:
non v'è nulla che tanto mi consoli.
E con amor e affezion sincera,
delle tenere carni farei strazio,
finché di sangue veramente sazio
a urlare andrei dentro la notte nera.
Anche una lepre basterebbe, via!
Dolce ha la carne pel mio gusto bruto...
Possibile che tutto abbia perduto
quel che abbelliva un dì la vita mia?
È grigio ormai della mia coda il pelo,
e già la vista mi s'annebbia e oscura,
sono anni che mia moglie è in sepoltura,
ed una lepre, un capriolo anelo.
Vado a caccia di lepri, trotto e sogno
all'invernale sibilo del vento,
e ingozzo neve, neve, finché ho spento
la mia sete, e do l'anima al demonio.
Passando sopra un ponte
alto sull'imbrunire
guardando l'orizzonte
ti pare di svanire.
Ma la campagna resta
piena di cose vere
e tante azzurre sfere
non valgono una festa.
Sulla tua bianca tomba
sbocciano i fiori bianchi della vita.
Oh quanti anni sono già spariti
senza di te - quanti anni?
Sulla tua bianca tomba
ormai chiusa da anni
qualcosa sembra sollevarsi:
inesplicabile come la morte.
Sulla tua bianca tomba,
Madre, amore mio spento,
dal mio amore filiale
una prece:
A lei dona l'eterno riposo.
Inosservati s'allungano i monti -
le sagome di porpora levate
senza sforzo o stanchezza -
senza aiuto né plauso -
Sui loro volti eterni -
nell'oro che dilegua -
in perfetta letizia il sole indugia
cercando compagnia per la sua notte.
Cum subit illius tristissima noctis imago,
Quae mihi supremum tempus in Urbe fruit;
Cum repecto noctem, qua tot mihi cara reliqui;
Labitur ex oculis nunc quoque gutta meis.
Iamque quiscebant voces hominunque canumque;
Lunaque nocturnos alta regebat equos.
Hanc ego suspiciens, et ab hac Capitolia cernens.
Quae nostro frustra iuncta fuere Lari.
Quando risorge in me la tristissima immagine di quella notte
che fu l'ultima ora a me concessa in Roma,
quando rivivo la notte in cui lasciai tante cose care,
qualche lacrima ancora mi scorre dagli occhi.
E già le voci degli uomini e dei cani tacevano;
e la luna alta nel cielo reggeva i cavalli notturni.
Io la guardavo lassù, e poi guardavo i templi capitolini, che inutilmente furono vicini al nostro Lare.
Se fosse dipeso da me il mio venire, non venivo
E se da me dipendesse l'andarmene, quando mai me ne andrei?
Era meglio se in questo diroccato convento
Non fossi venuto, né andato, né stato giammai.
L'Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade,
ancora truffe al forestiero, si presenti
come vuole.
Onestà tedesca ovunque cercherai invano,
c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina;
ognuno pensa per sé, è vano, dell'altro diffida,
e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé.
Bello è il paese! Ma Faustina, ahimè, più non ritrovo.
Non è più questa l'Italia che lasciai con dolore.
Ero nuda tra le sue mani
sotto la gonna alzata
nuda come non mai.
Il mio giovane corpo
era tutto una festa
dalla punta dei miei piedi
ai capelli sulla testa
Ero come una sorgente
che guidava la bacchetta
del rabdomante
Noi facevamo il male
il male era fatto bene.
Apparirà all'improvviso dal giaciglio del firmamento
Un venerando irritato che griderà ad una folla gremita:
"Oh ignari titubanti tra certezza e incertezza
Il vostro cammino non deve seguire questa né quella".