Potrebbero cadere tutti i muri innalzati per dividere noi anime gemelle da quell'abbraccio universale, ma se i nostri cuori non battono violentemente per far crollare le nostre ideologie, mai saremo capaci di Amare veramente e continueremo a percorrere le nostre strade indifferenti al buio che incombe sui nostri volti.
Ti dico grazie. Mi abiterai lungo il corso delle età fino a quando tempo esisterà e fino a quando spazio sarà occupato. Non sei materia e non mi consumi, sei spirito e mi alimenti e sarai il mio cibo fino alla morte dei secoli.
Anima regale, eterno bagliore che rinasci tra le nubi dei miei pensieri e che dai luce all'oscurità del mio vuoto, la tua sublime poesia risorge sui resti di questa sorda umanità e sugli scarti di questa vita che ha reso muta la nostra voce interiore.
Per te in orazione, io sono senza oblio, qui fra ginestre il tramonto è di seta, oscuro treno ti portò lontano. Le foglie tessono reti d'ombre, e sàcculi.
Il figlio
L'acqua del mare è il mio cammino, e tu non mi senti, io errante tremo. Sarà rosso il paese sulle tegole, e molli le balze d'erba - il rivo geme?
La madre
Qui gentile gallo canta per te, fra poco bianca capigliatura avranno le stelle. Mori e cristiani raccolgono timo; molto confusa è la tua voce per me.
Il figlio
Mi langue l'occhio, madre, e a me sopra il mare ruota senza allegrezza. La mia mano è fronda tra alghe - vizza, la Fenice non rinasce.
La madre
Allungo le dita per cercarti, figlio, ma ti sento in mezzo a ritorte radici. Nella terra dalle pietre rosse, sai, va il carretto: tu fosti per me giglio.
Il figlio
Suonano pesci sul mio corpo, madre, scintilla mi fu la mente che in alto si dissolse nel boreale vento. Attorno non ho rugiada in selva; qui è abisso.
Tu sei la luce del sole. Ove posi lo sguardo fiorisce la gioia. Ho scoperto con te stelle splendenti nel cielo e teneri fiori pei campi. Abbiamo cercato gocce di rugiada sui fili d'erba... Nei tuoi occhi profondi ho trovato la pace. E quando impaurito, lo sguardo di un timido agnello, mi cerchi la mano, una forza sconosciuta mi assale. Non esiste la Morte, se odo al mio fianco il tuo breve respiro, mio piccolo uomo.
Crescevan nella tomba le unghia a Giuseppe, morto, adunche. Liquefatto gli gocciava il fegato. Nelle cave orbite senza luce aveva due tenere rotule di Ririrì. Dal cervello putrescente e dalla teca si sperdevan milioni di pensieri in filiere per i cipressi del cimitero.
Dio verdolino come libellula, lì cercava di penetrare fra le estreme cellule. Ma gli oscurava a lampi la via, la Tenebrosa. Bolliva nel vicolo la pignatta - oh, quanto fonda! - di donna Riricchia. Nella valle in paura del vento, le canne. Picchia la notte sugli ossi secchi della tomba.