Sono senza cera sulla pelle marmorea mi fascio in danza d'arti giunture cartilagini ossa anchilosate mi muovo a forza e mi rompo sotto il peso di me stessa - di te - arabesco corporeo contorsionista cerebrale.
Trafiggimi di spine la spina e spira d'alito fresco sulle spire col gusto del tuo respiro guasto e ponimi all'ombra dell'ambra coprimi con foglie proteggermi come fossi figlia ed il tuo giaciglio mi sia culla e le tue braccia, cella, il sole non mi bruci, ma non mi renda sola, scostami ogni velo e fà ch'io prenda il volo libera dai rovi di more bagnarmi nel tuo mare.
Spezzate le mie ali lato oscuro delle mie farfalle trascinarsi sul ventre - come larve - 'ché la vita m'è fatica ed il terrificante terrore è lo scheletro molle che mi sostenta l'avanzare
Trattenuta da spilli fissa all'intonaco martoriata dimeno ciò che ancora mi è soffio tra le membrane del respiro e che generi tormenta in chi m'ha sciupata - tremenda disfatta -
Ciò che è agonia sia pretesa di rinascita nel solco di terra tramutarsi presto in volo.
C'è qualcosa che mi taglia l'aurora perché non si proclami nessun nuovo giorno e venga, anzitempo, scurito il sole che devia la vista dai firmamenti senza astri. Buio. Sgretolarsi in mosaici scendere pioggia a seppellire. Seppellirmi.
C'è qualcosa che mi taglia il sonno sventra immagini e dall'onirico passa alle visioni sull'orlo di una psicosi che mette le paranoie alle calcagna dei sogni come fossero lupi il cui latrato è l'unico sonoro del mio scenario in dormiveglia. Ed è notte.
La mia fragilità è il giunco mosso dagli aliti, l'affanno della minaccia, un chiaroscuro sul petto e vernice che mi cola sul viso. Con le mani giunte difronte al delirio, la sacralità dell'abbandono, il terrificante non senso, l'angoscia ultima di questo peso ereditario.
Mi è antico questo mare, si fa rivolo e corso interiore, a ridosso d'una mareggiata crepuscolare. Mi coglie la china e mi abbandona sulle rive dell'anima ventuno grammi di detriti, macerie di onde crudeli che mi lasciano il cuore bagnato e che nessun vespro fragile ha la forza d'asciugare. Ed è pianto che s'infrange sui polmoni come fossero scogli e l'urto d'una labile memoria s'inabissa in fondali e lento e calmo e spasmodico ed in tumulto, questo mare che mi è coscienza devastata, lo trascrivo su fogli d'alga con inchiostro salmastro, sul bagnasciuga d'un ricordo mesto.
Devo trovare le tue vene ed ingrossarmi con loro ad ogni passaggio di vita che t'appartiene ché così voglio appartenerti io come il tuo stesso sangue e saperti di linfa sulla lingua sapore estremo sul palato carne turgida tra i denti ché la ricerca del mio gusto sia morso per la fame e divorarmi, la tua sazietà
È così immobile il mio pensiero che il cuore mi s'affatica per potergli stare dietro, fermarsi, anche lui e venir meno ai battiti, atrofizzarsi d'emozioni. Getto sull'asse del mentre un sorriso che possa sporcarmi il volto che stupri questa mia tristezza come una puttana di basso rango, s'avrà, così, l'esteriorità più finta, in nome d'una malinconia da proteggere possessivamente dentro.