Le voci danzano quando i richiami sono antichi ed il tempo è molecola che compone corpi come fossero elementi chimici mischiarsi e fondersi abbandonare disgiunzioni legarsi d'argento nel prezioso Uno che son io, sei tu superando tu ed io scissi ed imbrigliando nuovo nodo.
Diafana selenica impalpabile e crudele volge sguardo come muro e schiena-latte come veleno Amante-mantide di religioni sinistre il mio profilo tempio-sepolcro finito-infinitesimale t'alberga.
Le parole mi scivolano dalla bocca pregne più del taciuto che del detto. Solcano l'inguine delle passioni mozze ed il midollo di un coraggio che vien meno nel viver la vita; si estroflettono in ciglia umide d'emozione e le sento trapassarmi il diaframma con il respiro prestato da una ragione fratturata, l'istinto di base che urla come una madre disperata che perde le figlie. Scappano dalle labbra secche che si inumidiscono di sillabe tentennanti e si portano dietro il terriccio di una fertilità di pensiero che è stato e, adesso, non v'è più. Son rimaste le crepe. Le crepe alle fauci.
Ti chiamerei amore, quando ho una spina sul petto che si sente forte, come te che sento fortissimo quando mi pungi l'ultimo senso proteso al bello, deciso, intenso, completo, diventarmi doloroso quando la tua mano mi è sul fianco ed una contrattura, presto brivido, m'attraversa, disseminando fuochi sparsi come s'io fossi terra con conche da bruciare.
Si sono smunti i colori e s'è placata la mareggiata alle porte dell'anima che m'è rimasta bagnata dall'ultime piogge di pianti m'è morto il vento e con questo il fiato e dei polmoni che facevano da remi è restato legno scardinato gonfio d'umidità e di muffa di certi mesti ricordi a rievocare l'azzurro di cielomare.
Dipingersi gl'occhi di cieli smunti di pioggia con i polmoni sulle nuvole e la pelle riarsa dal sole nero. Mille corsi dentro, ma nessun mare intorno addirittura l'opera di lavarsi le ferite col sale per cicatrizzare, ma non dimenticare di far più male. E sentirsi attraverso il Dolore, ché la carne è rimasta a far da unico senso l'orecchi taciuti, gl'occhi ingabbiati dalle ciglia, la parola mancat
Dal basso.
Lo schianto di certe carcasse c'aspettano lo sciacallo, prepararsi a farsi pasto, poi, d'improvviso, commettere il balzo ed uccidere per non uccidersi, ché in questa vita che sa di morte la morte si ha, vivendo.
Mi sei stato onda alta sciabordio tra le ciglia mareggiata in punta d'abisso confuso tra i coralli come medusa velenosa uncinarmi il cuore ed infettarmelo
tramortita
a galla
sul pelo d'acqua
ritrovarmi naufraga fradicia d'antico sapore di fondali adesso solo rena
Come queste mani è il nostro amore che elude separazioni e mancanza dita camminarsi vicine sui percorsi della pelle cercarsi di vena in vena fermarsi ad altezza del desiderio marciare sul concavo e convesso come se in noi ci fossero alture e fossi e valli invece solo corpi.
Mi travesto d'emozione per togliermi di dosso la nudità di certe espressioni malinconiche che mi generano solchi alla coda degli occhi increspando gli angoli della bocca
Mi trucco di smorfie e mi poggio su stampelle perché la schiena mi stia dritta mi adorno di slanci e mi agghindo le labbra di pigmenti di sorrisi passati ne sia rimasta l'ombra possa adesso dipingersi sul mio volto.
Laddove s'uniscono le impronte sulla pelle finissima unirsi al gemito mutarci in un crampo ché non s'è mai vista carezza che lasci livido e tu di più mi lasci un taglio.