Poesie preferite da Nadia De Luca

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Scritta da: Silvana Stremiz

Canto d'autunno

Ora l'autunno ha brividi
nel gambo della rosa.
Alte e lontane scale
s'appoggiano tra i frutti.

L'autunno ora s'arrampica
sull'intrecciata trama
e la rosa ricorda la polvere
da cui fu generata.

Piú lucente del fiore
sul cespuglio di rosa
è la bacca arancione,
ora avvizzita, amara;

in ozio la bellezza non sa stare;
tutto accade in suo nome;
ma la rosa ricorda la polvere
da cui fu generata.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Sogno una notte rossa, aria arancione e i tuoi capelli biondi

    Sfuma il cielo
    e io sogno una notte rossa,
    aria arancione
    e i tuoi capelli
    biondi
    in un miraggio
    che non ho trovato
    finora

    il fioraio ha già chiuso
    con le sue ordinazioni
    non posso neanche
    prenderti qualcosa di carino;
    e nei miei passi leggeri
    sento il cuore pesante
    seguo l'orizzonte
    voglio solo ascoltare
    per sempre
    il tramonto;
    lo seguo
    tra i campi, guado un fiumicello
    nella strada complice
    di tante sere,
    e tocco finalmente
    la sabbia della spiaggia
    che luccica della
    debole
    luce
    serale.
    Tra il suono delle onde
    il tuo pensiero mi confonde,
    non riesco neanche a
    pensare,
    cercare di fare qualcos'altro

    Sulle maree della mia vita
    guardo le onde,
    il mare
    questo amore è troppo grande
    ormai
    pensare vuol dire amare

    e lo guardo
    lì che scappa nell'orizzonte
    nell'infinito
    a fuggire da chissà cosa
    un amore che ha paura
    gridano i gabbiani

    Non riesco ad affrontare
    questo mare
    questo amore
    che mi lascia
    sulla spiaggia
    solo
    a sognare
    sentire
    gabbiani
    setacciare
    rupi e sabbia
    in un'eterna
    serata
    di maggio
    schiarita dal tramonto
    che ovatta l'atmosfera
    in questo fotoromanzo
    che sa di vecchi
    ritornelli

    Vorrei attraversarlo
    ma non riesco;
    vorrei amarti
    ma non so amarti;

    Voglio solo
    sussurrarti,
    nel vento,
    che rimarrò
    sempre qui,
    sulla spiaggia,
    a guardarti
    ad ascoltarti
    ad aspettarti,
    vivendo del sognarti.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Sarah Brown

      Maurizio, non piangere, non sono qui sotto il pino.
      L'aria profumata della primavera bisbiglia nell'erba dolce,
      le stelle scintillano, la civetta chiama,
      ma tu ti affliggi, e la mia anima si estasia
      nel nirvana beato della luce eterna!
      Và dal cuore buono che è mio marito,
      che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d'amore: -
      digli che il mio amore per te, e così il mio amore per lui, hanno foggiato il mio destino — che attraverso la carne raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace.
      Non ci sono matrimoni in cielo,
      ma c'è l'amore.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Ora e sempre Resistenza

        Lo avrai
        camerata Kesserling
        il monumento che pretendi da noi italiani
        ma con che pietra si costruirà
        a deciderlo tocca a noi
        non con i sassi affumicati dei borghi inermi
        straziati dal tuo sterminio
        non con la terra dei cimiteri
        dove i nostri compagni giovinetti
        riposano in serenità
        non con la neve inviolata delle montagne
        che per due inverni ti sfidarono
        non con la primavera di queste valli
        che ti vide fuggire
        ma soltanto con il silenzio dei torturati
        più duro d'ogni macigno
        soltanto con la roccia di questo patto
        giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono
        per dignità non per odio
        decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo
        su queste strade se vorrai tornare
        ai nostri posti ci ritroverai
        morti e vivi con lo stesso impegno
        popolo serrato intorno al monumento
        che si chiama ora e sempre
        Resistenza.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          La vita solitaria

          La mattutina pioggia, allor che l'ale
          Battendo esulta nella chiusa stanza
          La gallinella, ed al balcon s'affaccia
          L'abitator dè campi, e il Sol che nasce
          I suoi tremuli rai fra le cadenti
          Stille saetta, alla capanna mia
          Dolcemente picchiando, mi risveglia;
          E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
          Degli augelli susurro, e l'aura fresca,
          E le ridenti piagge benedico:
          Poiché voi, cittadine infauste mura,
          Vidi e conobbi assai, là dove segue
          Odio al dolor compagno; e doloroso
          Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
          Benché scarsa pietà pur mi dimostra
          Natura in questi lochi, un giorno oh quanto
          Verso me più cortese! E tu pur volgi
          Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
          Le sciagure e gli affanni, alla reina
          Felicità servi, o natura. In cielo,
          In terra amico agl'infelici alcuno
          E rifugio non resta altro che il ferro.
          Talor m'assido in solitaria parte,
          Sovra un rialto, al margine d'un lago
          Di taciturne piante incoronato.
          Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
          La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
          Ed erba o foglia non si crolla al vento,
          E non onda incresparsi, e non cicala
          Strider, né batter penna augello in ramo,
          Né farfalla ronzar, né voce o moto
          Da presso né da lunge odi né vedi.
          Tien quelle rive altissima quiete;
          Ond'io quasi me stesso e il mondo obblio
          Sedendo immoto; e già mi par che sciolte
          Giaccian le membra mie, né spirto o senso
          Più le commova, e lor quiete antica
          Cò silenzi del loco si confonda.
          Amore, amore, assai lungi volasti
          Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno,
          Anzi rovente. Con sua fredda mano
          Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
          Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
          Che mi scendesti in seno. Era quel dolce
          E irrevocabil tempo, allor che s'apre
          Al guardo giovanil questa infelice
          Scena del mondo, e gli sorride in vista
          Di paradiso. Al garzoncello il core
          Di vergine speranza e di desio
          Balza nel petto; e già s'accinge all'opra
          Di questa vita come a danza o gioco
          Il misero mortal. Ma non sì tosto,
          Amor, di te m'accorsi, e il viver mio
          Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
          Non altro convenia che il pianger sempre.
          Pur se talvolta per le piagge apriche,
          Su la tacita aurora o quando al sole
          Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
          Scontro di vaga donzelletta il viso;
          O qualor nella placida quiete
          D'estiva notte, il vagabondo passo
          Di rincontro alle ville soffermando,
          L'erma terra contemplo, e di fanciulla
          Che all'opre di sua man la notte aggiunge
          Odo sonar nelle romite stanze
          L'arguto canto; a palpitar si move
          Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
          Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano
          Ogni moto soave al petto mio.
          O cara luna, al cui tranquillo raggio
          Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
          Alla mattina il cacciator, che trova
          L'orme intricate e false, e dai covili
          Error vario lo svia; salve, o benigna
          Delle notti reina. Infesto scende
          Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
          A deserti edifici, in su l'acciaro
          Del pallido ladron ch'a teso orecchio
          Il fragor delle rote e dè cavalli
          Da lungi osserva o il calpestio dè piedi
          Su la tacita via; poscia improvviso
          Col suon dell'armi e con la rauca voce
          E col funereo ceffo il core agghiaccia
          Al passegger, cui semivivo e nudo
          Lascia in breve trà sassi. Infesto occorre
          Per le contrade cittadine il bianco
          Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
          Va radendo le mura e la secreta
          Ombra seguendo, e resta, e si spaura
          Delle ardenti lucerne e degli aperti
          Balconi. Infesto alle malvage menti,
          A me sempre benigno il tuo cospetto
          Sarà per queste piagge, ove non altro
          Che lieti colli e spaziosi campi
          M'apri alla vista. Ed ancor io soleva,
          Bench'innocente io fossi, il tuo vezzoso
          Raggio accusar negli abitati lochi,
          Quand'ei m'offriva al guardo umano, e quando
          Scopriva umani aspetti al guardo mio.
          Or sempre loderollo, o ch'io ti miri
          Veleggiar tra le nubi, o che serena
          Dominatrice dell'etereo campo,
          Questa flebil riguardi umana sede.
          Me spesso rivedrai solingo e muto
          Errar pè boschi e per le verdi rive,
          O seder sovra l'erbe, assai contento
          Se core e lena a sospirar m'avanza.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Una sera che ero uscito a spasso

            Una sera che ero uscito a spasso,
            a spasso in Bristol Street,
            sul lastrico le folle erano campi
            di grano pronto per la mietitura.

            E lungo il fiume in piena
            udii un innamorato che cantava
            sotto un'arcata della ferrovia:
            "l'amore non ha fine".

            "Io ti amerò, mio caro, ti amerò
            finché la Cina e l'Africa s'incontrino
            e il fiume schizzi sopra la montagna
            e per la strada cantino i salmoni".

            "Io ti amerò finché l'oceano sia
            ripiegato e steso ad asciugare
            e vadano la sette stelle urlando
            come oche in giro per il cielo".

            "Come conigli correvano gli anni
            perché io tengo stretto fra le braccia
            il Fiore delle Età
            e il primo amore al mondo".

            Ma tutti gli orologi di città
            si misero a vibrare e rintoccare:
            "Oh, non lasciarti illudere dal Tempo,
            non puoi vincere il Tempo".

            "Nelle tane dell'Incubo,
            dove Giustizia è nuda,
            dall'ombra il Tempo vigila
            e tossisce se ha voglia di baciare".

            "Tra emicranie e in ansia
            vagamente la vita cola via
            e il Tempo avrà vinto la partita
            domani o ancora oggi".

            "In molte verdi valli
            si accumula la neve spaventosa;
            il Tempo spezza le danze intrecciate
            e dell'alteta lo stupendo tuffo".

            "Oh, immergi nell'acqua le tue mani,
            giù fino al polso immergile
            e guarda, guarda bene nel catino
            e chiediti che cosa hai perduto".

            "Nella credenza scricchiola il ghiacciaio,
            il deserto sospira dentro il letto
            e nella tazza la crepa dischiude
            un sentiero alla terra dei defunti".

            "Dove i barboni vincono bei soldi
            e il Gigante fa le moine a Jack
            e l'Angioletto è un nuovo Sacripante
            e Jill finisce giù lunga distesa".

            "Oh, guarda, guarda bene nello specchio,
            guarda nella tua ambascia;
            la vita è ancora una benedizione
            anche se benedire tu non puoi".

            "Oh, rimani, rimani alla finestra
            mentre bruciano e sgorgano le lacrime;
            tu amerai il prossimo tuo storto
            con il tuo storto cuore".

            Era tardi, già tardi quella sera,
            loro, gli amanti, se ne erano andati;
            tutti i rintocchi erano cessati
            e il gran fiume correva come sempre.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Alla bandiera rossa

              Per chi conosce solo il tuo colore,
              bandiera rossa,
              tu devi realmente esistere, perché lui
              esista:
              chi era coperto di croste è coperto di
              piaghe,
              il bracciante diventa mendicante,
              il napoletano calabrese, il calabrese
              africano,
              l'analfabeta una bufala o un cane.
              Chi conosceva appena il tuo colore,
              bandiera rossa,
              sta per non conoscerti più, neanche coi
              sensi:
              tu che già vanti tante glorie borghesi e
              operaie,
              ridiventa straccio, e il più povero ti
              sventoli.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                In limine

                Godi se il vento ch'entra nel pomario
                vi rimena l'ondata della vita:
                qui dove affonda un morto
                viluppo di memorie,
                orto non era, ma reliquario.

                Il frullo che tu senti non è un volo,
                ma il commuoversi dell'eterno grembo;
                vedi che si trasforma questo lembo
                di terra solitario in un crogiuolo.

                Un rovello è di qua dall'erto muro.
                Se procedi t'imbatti
                tu forse nel fantasma che ti salva:
                si compongono qui le storie, gli atti
                scancellati pel giuoco del futuro.

                Cerca una maglia rotta nella rete
                che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
                Va, per te l'ho pregato, - ora la sete
                mi sarà lieve, meno acre la ruggine...
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Al mare (o quasi)

                  L'ultima cicala stride
                  sulla scorza gialla dell'eucalipto
                  i bambini raccolgono pinòli
                  indispensabili per la galantina
                  un cane alano urla dall'inferriata
                  di una villa ormai disabitata
                  le ville furono costruite dai padri
                  ma i figli non le hanno volute
                  ci sarebbe spazio per centomila terremotati
                  di qui non si vede nemmeno la proda
                  se può chiamarsi cosí quell'ottanta per cento
                  ceduta in uso ai bagnini
                  e sarebbe eccessivo pretendervi
                  una pace alcionica
                  il mare è d'altronde infestato
                  mentre i rifiuti in totale
                  formano ondulate collinette plastiche
                  esaurite le siepi hanno avuto lo sfratto
                  i deliziosi figli della ruggine
                  gli scriccioli o reatini come spesso
                  li citano i poeti. E c'è anche qualche boccio
                  di magnolia l'etichetta di un pediatra
                  ma qui i bambini volano in bicicletta
                  e non hanno bisogno delle sue cure
                  Chi vuole respirare a grandi zaffate
                  la musa del nostro tempo la precarietà
                  può passare di qui senza affrettarsi
                  è il colpo secco quello che fa orrore
                  non già l'evanescenza il dolce afflato del nulla
                  Hic manebimus se vi piace non proprio
                  ottimamente ma il meglio sarebbe troppo simile
                  alla morte ( e questa piace solo ai giovani)
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